CONDIVIDI

Da oggi, nello spazio espositivo zerozerosullivellodelmare (s.l.m.00), le “Stratigrafie immaginarie” di Alessandro Sonsini (Torre de’ Passeri, 1945), architetto ed ex professore universitario, a cura di Lucio Rosato, si innestano nella mostra “Come un’ala pungente”, retrospettiva dedicata ad Angelo Colangelo (Penne, 1927).

L’inaugurazione è alle ore 19.00, lo spazio s.l.m.00 a Pescara, in Via dei Marruccini 19/23.

I due ambienti in cui è strutturato s.l.m.00, lo Spazio e l’Officina, diventano dunque luoghi di molteplicità di incontri, riflessioni e dialogo: nello Spazio, i sette acquerelli materici di Sonsini, visione immaginaria di una città pensata e non ancora realizzata, sono allestiti in compresenza delle strutture in acciaio alluminio ed ottone di Colangelo, ex docente e preside del Liceo Artistico “G.Misticoni” di Pescara, di cui, peraltro, Sonsini fu allievo.

Le strutture metalliche di Colangelo, che nascono tra il 1971 ed il 1972, sono “strumenti di levigata bellezza, che abbagliano e affascinano ma che al contempo innalzano barriere, pongono condizioni, paiono pronti a catturarci” (parole di colui che le volle esporre per primo, Giuseppe Rosato). La retrospettiva di Colangelo, a cura di Lucio Rosato con la collaborazione di Paola Tommasoni, moglie dell’artista, è stata inaugurata in s.l.m.00 il 23 settembre scorso.

«Mi piace l’idea dell’innesto» – spiega Lucio Rosato, curatore e titolare dello spazio espositivo. «Per la retrospettiva di Angelo Colangelo penso di aver centrato un momento particolare, soffermandomi sull’aspetto quasi primordiale della sua arte e non considerando tutta la sua successiva produzione, articolatasi in 70 anni di carriera. Quel momento degli anni ‘70 continuo a vederlo come il momento più significativo della sua produzione artistica, quello in cui c’è la sintesi tra forma e contenuto, mentre poi piano piano il contenuto è andato a vincere sulla forma. Per me ci dev’essere sempre questa relazione e la forma dell’ “Ala pungente” racchiude tutta la componente etica del pensiero dell’artista ed aggancia la critica di Colangelo al nostro quotidiano, alla nostra società. Insieme ai lavori degli anni ’70, nell’Officina c’è la sua installazione più recente, del 2023, un totem con le manette in cui tutta l’attenzione che Colangelo ha rivolto all’uomo ed alla sua condizione è rivelata con un’immediatezza visiva potentissima. È un’installazione che afferma chiaramente la condizione umana: siamo uomini schiavi, imprigionati da una società che ci siamo costruiti ma che subiamo, che ci costringe e ci ammanetta».

Il totem di Angelo Colangelo (2023) ed un’opera di Sonsini (1967)

Lucio Rosato, quanto hanno influito la tua formazione ed il tuo vissuto sulla predilezione per le opere dei primi anni ‘70 di Colangelo ?

«Le opere che sono esposte per “Come un’ala pungente” erano presenti il giorno dell’inaugurazione della galleria di mio padre, Giuseppe Rosato, il 5 novembre 1972, quando nonostante la mia età – non ancora dodicenne – rimasi affascinato dagli elementi del giovane Angelo Colangelo. La mostra è anche un omaggio alla galleria di mio padre, e queste opere ne trattengono la memoria.”

Si tratta della Galleria d’arte “Il Quadrivio”, diretta da Giuseppe Rosato, attiva a Pescara nei primi anni Settanta. Rosato scelse di rivolgere la sua attenzione esclusivamente alla scultura, organizzando nel corso dell’attività della Galleria, durata poco più di tre anni, sei mostre personali dedicate ad alcuni dei protagonisti italiani dell’arte di quegli anni – Angelo Colangelo, Paola Levi Montalcini, Beppe Sesia, Amilcare Rambelli, Elio Di Blasio, Carmelo Cappello – e una collettiva di dodici scultori, tra i quali Pietro Consagra, Antonio Ligabue, Luciano Minguzzi, Giò Pomodoro, offrendo alla città di Pescara, che in quegli anni viveva un momento di grande fermento culturale, la possibilità di individuare altre centralità oltre i confini della periferia.

«Ho anche vissuto – continua Rosato – gli anni più interessanti del Liceo Artistico Misticoni, formandomi con Franco Summa ed in particolare con Ettore Spalletti, acquisendo quindi una visione in cui l’aspetto della forma è fondamentale, senza che però prescinda mai dal concetto. Ed a tutto questo si è aggiunta la mia formazione di architetto».

Come si è creato quest’innesto di lavori pittorici di Sonsini all’interno dell’Ala pungente di Colangelo?

«Mi piace che ci sia questo gioco di relazione tra l’allievo Sonsini ed il maestro Colangelo. Sonsini presenta dei lavori recentissimi, del 2022-‘23. Sono degli acquerelli con una componente formale molto forte, derivante dal suo essere architetto. Nell’ “Officina”, invece, ho voluto esporre un lavoro del 1967, realizzato con smalti industriali, che ho messo in relazione con il totem di Colangelo».

Nell’ambiente dell’Officina, che per definizione è un luogo di sperimentazione e di collaborazione, vitale per l’innovazione e la divulgazione, il progetto espositivo si articola ulteriormente con un terzo innesto. Si tratta del racconto fotografico fatto da Valeria Maria Pio, fotografa pugliese, che racconta tua installazione, realizzata il 4 ottobre 2022 al palazzo Dogana di Foggia, dal titolo “Campo minato”, composta di 529 mine.

«In questa installazione gioco con l’ambiguità del termine “mina”. Il campo minato richiama alla mente qualcosa di pericoloso, di drammatico, legato alla possibilità della morte, ma se dovessi raccogliere una mina, con essa potrei disegnare un mondo migliore. Come insegna il pensiero francescano, sono delle mine di pace».

Lucio Rosato, Campo minato, 2022

Una complessità di relazioni e di rimandi domina dunque l’esposizione, in un climax che cresce proprio nell’Officina: le fotografie delle mine disposte in modo rigorosissimo, quasi fosse lo schieramento di un esercito, sono ai margini e quasi a protezione de “I miei averi”, opera di Colangelo del 2015. Gli “averi” posti in calici, coppe, bottiglie ed ampolle di vetro e cristallo sono in realtà cenere e carbone, nero come le mine, rimando a ciò che rimarrà del passaggio dell’uomo sulla terra. Altro significativo innesto, la correlazione con un altro lavoro di Rosato, del 2012, “Qualcosa che sto perdendo”: il calice di cristallo in cui l’architetto e docente di Interior design (Facoltà di Architettura e design dell’Università Gabriele d’Annunzio di Pescara) bevve il suo whisky, che giorno dopo giorno sta evaporando, lasciando traccia sul bicchiere.

“D’altronde – conclude Rosato – tutto è solo di passaggio: la fragranza di un limone, un segno della matita così come il whisky lasciato evaporare nei giorni, nella fragilità di un calice di cristallo”.

Lucio Rosato tra “Qualcosa che sto perdendo”, 2012 e “Campo minato“, 2022. In primo piano, “I miei averi” di Angelo Colangelo, 2015.

Info:

s.l.m.00 – Pescara, via dei Marruccini 19/23

dal 14 ottobre al 28 ottobre 2023, dal martedì al sabato, dalle ore 19.00 alle ore 20.00

info@zerozerosullivellodelmare

zerozerosullivellodelmare.it

CONDIVIDI