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«Per questa edizione della Biennale di Penne abbiamo voluto scegliere un titolo intenzionalmente “provocatorio”, nato in relazione alla lettura di un testo altrettanto provocatorio dal titolo La miseria simbolica scritto dal filosofo francese Bernard Stiegler (1952-2020). Il testo recentemente pubblicato in Italia offre una profonda riflessione su come la dimensione estetica, artistica e creativa si relazioni e possa relazionarsi alla “vita attiva” e sociale del nostro tempo, ovvero alla dimensione politica nel senso “arendtiano” più ampio del termine»

È l’incipit del testo critico di accompagnamento alla XX Biennale di Penne “Tra l’Estetico e il Politico” a cura di Antonio Zimarino e Chiara Di Carlo, che sarà inaugurata oggi, 20 maggio, alle ore 17.30 nella Sala Consiliare del Comune di Penne, in piazza Luca da Penne.

Alessandro Antonucci, Emanuela Barbi, Christian Ciampoli, Di Bernardo Rietti Toppeta, Piotr Hanzelewicz, Anzhelika Lebedeva, Minus Log, Saba Najafi, Evgeniya Pankratova, questi gli artisti invitati a riflettere sulla dimensione Estetica e Politica dell’opera d’arte, «che non è da concepire soltanto come manufatto esteticamente piacevole in sé, o come strumento banalmente comunicativo ma anche come medium d’espressione capace di veicolare e presentare idee, posizioni, azioni e pensieri che possano arricchire lo spirito e aprire la società al confronto, al dibattito costante, contro l’impoverimento relazionale e la crisi dell’immaginario causata dalla massificazione, nonché la mercificazione del prodotto artistico impossibile da valutare come mero elemento decorativo e di design senza prima averne almeno compreso le capacità di attivatore energetico».

Diversi i luoghi del Borgo Medievale di Penne che accolgono la Biennale: l’Auditorium San Giovanni Evangelista, Largo S. Giovanni Evangelista,121; il Museo Archeologico Civico-Diocesano “G.B. Leopardi”, Piazza Duomo, 8; il MAMeC Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Via Muzio Pansa, 37; la Collezione Nato Frascà – Spazio Inangolo, Largo S. Giovanni Battista,1.

Mohd Ali Famori – Postwar series (2018) – Digital Photography

Tra gli obiettivi della mostra c’è anche quello di mettere il pubblico di fronte a temi attuali come la guerra, i migranti, la ricerca di libertà spirituale e reale dell’individuo. Per questo, parte integrante ed essenziale della mostra è la sezione “For Iran – Testimoniare; Condizione Plurale, a cura di Zoya Shokoohi, progetto in parte già ospitato alla fine del 2022 presso lo spazio no-profit “La Portineria” di Matteo Innocenti a Firenze. Nella sezione è esposta una selezione eccezionale di artisti iraniani, quali: Elahe Ramezani Moghadam, Mohammad Vavta, Malihe Darkei, Fatemeh Ahankar, Naser Khesali, Parinaz Hooman, Elham Ramezani Moghadam, Sadighe kafash, Maryam Nematollahi, Soheil Tajaddin, Collettivo MASC.

Antonio Zimarino, hai scelto una tematica attuale e densa, che si muove tra l’Estetico ed il Politico. Come hai scelto gli artisti per questa XX Biennale?

«Ho cercato di costruire questa mostra con artisti che avevano già una sensibilità naturale a questo tema. Consideriamo spesso gli artisti in situazioni spettacolari o spettacolaristiche, o pensando alla vendita, ma in realtà gli artisti hanno delle anime profondissime, per cui ho cercato di individuare quelli che meglio sapevano muoversi tra questi due temi. C’è chi li ha mischiati insieme, ed è riuscito a fare qualcosa di estetico e contemporaneamente di politico – per politico, ovviamente, non intendiamo il “politico ideologico”, ma in senso relazionale, sociale, partecipativo – e c’è chi ha un approccio di più spirituale. Ma anche la spiritualità è una forma di politica, perché è un modo di leggere il mondo, un modo di rapportarsi ad esso.»

A cosa ci condurrà questa mostra?

«L’idea è che l’arte possa cambiare il nostro immaginario, o aiutarci a farlo, far sì che stupendoci di cose belle, profonde, vere come sono quelle degli esseri umani, alla fine qualcuno cambi approccio alla sua vita, o al suo modo di vedere le cose.»

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