Secondo l’EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction) in Italia vi sarebbero all’incirca 393.000 persone con problemi di dipendenza da droga con una percentuale del 10 per mille. Questa percentuale è seconda solamente al Regno Unito dove sarebbero il 10,1 per mille della popolazione. L’Italia è in testa anche per quanto riguarda il consumo di oppiacei.
In generale, leggendo la “Relazione europea sulla droga: tendenze e sviluppi/2022” pubblicata dall’ EMCDDA, la disponibilità e il consumo di droghe rimangono a livelli elevati in tutta l’Unione europea. Si stima che “circa 83,4 milioni di adulti (di età compresa tra 15 e 64 anni), pari al 29 %, abbiano fatto uso di sostanze illecite, con un numero di maschi maggiore (50,5 milioni) rispetto alle femmine (33 milioni) ad averne segnalato il consumo”. La cannabis resta la sostanza maggiormente consumata, seguita dagli stimolanti, dalla cocaina, e dalle amfetamine. Sebbene la prevalenza del consumo sia inferiore per il consumo di oppiacei rispetto ad altre droghe, “gli oppiacei continuano a rappresentare la maggior parte dei danni attribuiti al consumo di sostanze illecite, come dimostra la presenza di oppiacei, spesso in combinazione con altre sostanze, che è stata rilevata in circa tre quarti dei casi di overdose mortali segnalati nell’Unione europea per il 2020”.
Era il 2003 quando Rino Ferrigno, di origini campane, che ha vissuto e si è specializzato in Inghilterra e da una decina di anni vive e lavora a Pescara, al termine di un personale percorso di rinascita, inizia ad occuparsi dei ragazzi preda della dipendenza dall’uso di alcol e droghe, in particolare cocaina ed eroina. Da quel momento ne fa il lavoro di una vita. Nel 2003 è cofondatore, in Inghilterra, della realtà per il recupero dalle tossicodipendenze “Chrysalis Supported Association UK”, sbarcata poi in Italia con il nome “Chrysalis Italia”, con sede a Pescara (ma che opera in tutta Italia, oltre che in Inghilterra), centro specializzato per il recupero dalle dipendenze.
“Chrysalis” prende il nome dalla crisalide, lo stadio ninfale della farfalla, simbolo della trasformazione profonda, del passaggio a nuove fasi dell’esistenza, soprattutto dopo periodi di crisi; il bruco deve infatti attraversare una fase di impotenza e disintegrazione, per poter rinascere nella sua forma più maestosa.
Rino Ferrigno ci consegna un racconto poco convenzionale sul trattamento delle dipendenze. Parla senza distinzioni tra i vari tipi di dipendenza, che considera come vere e proprie malattie, dignitose di rispetto tanto quanto qualunque altra patologia che possa intaccare il corpo, così come l’anima, di una persona.
Rino Ferrigno, in tutti questi anni hai potuto assistere all’evoluzione e al cambiamento del problema delle dipendenze. Ci racconti la tua esperienza?
«In questi 20 anni c’è stato un cambiamento profondo nell’affrontare il problema delle dipendenze, per caratteristiche sanitarie, sociali, psicologiche, per tipologie dei consumi, per le cause e per la risposta di cura da parte dei servizi. Ma in Italia siamo ancora molto indietro.
Mi ha colpito molto la lettura di un recente articolo “Most Drug Policies Are Based On ‘Stigma And Lies’: Harm Reduction International” in cui il direttore esecutivo di HRI (Harm Reduction International), Naomi Burke-Shyne, afferma che “lo stigma e le bugie” sono alla base della maggior parte delle politiche pubbliche sulle droghe. “Poiché c’è così tanto allarmismo sulle droghe, molte persone hanno accettato l’idea priva di sfumature che l’uso di droghe sia un male, piuttosto che la politica sulle droghe sia un male“. Tutto il sistema che è stato creato intorno alle droghe è incentrato proprio sulla stigmatizzazione e sulla punizione. Il mio approccio, invece, è completamente diverso, già nei termini che io e i miei collaboratori usiamo. In Inghilterra, dove ho vissuto molti anni, nessuno usava parole così dure come “tossicodipendente o alcolista”, si parlava di “dipendenti”, o della “malattia della dipendenza”. Credo fermamente che qualunque dipendenza sia una vera e propria malattia che va curata come qualsiasi altra patologia.»
C’è un momento specifico in cui il dipendente decide di disintossicarsi e di chiedere aiuto?
«Non tutti sono pronti a smettere. Magari arriva da me una persona che 10 anni fa ha parlato per la prima volta con uno psicologo, od uno psicoterapeuta, o ha frequentato una volta un incontro di Alcolisti Anonimi, ed è quello il giorno in cui ha iniziato a prendere un po’ di consapevolezza e di dire “oggi ho bisogno di aiuto”, ma non ha affrontato subito il problema, ha avuto bisogno di un tempo più o meno lungo. Siamo tutti diversi, c’è chi ha bisogno di maturare, chi continua il percorso di recupero per anni ed anni, e c’è chi ha appena iniziato. Chi viene qui mi chiede come funzionerà, cosa succederà e quanto durerà la terapia e mi racconta la sua storia di dipendenza o i disturbi comportamentali di cui soffre. Dentro di me spero sempre che questa persona sia l’ultima, ma non è detto che lo sia.»
Il percorso di Chrysalis Italia è molto particolare, come si articola il trattamento?
«Propongo programmi di recupero dalle dipendenze personalizzati, 7 giorni su 7, h24, per soddisfare ogni esigenza individuale di persone che hanno problemi con tutti i tipi di dipendenze. Il mio team ha decenni di esperienza professionale in consulenza, psicologia e psicoterapia e lavora con passione e professionalità senza pari.
Il fatto di dare a una persona che ha sempre “usato” o ha sempre avuto “dolori dell’anima” due o tre mesi di “break” significa che nel corso di questo tempo queste persone iniziano a mettere qualcosa in più nel loro animo e iniziano a capire che devono fare qualcosa per recuperarsi. Ci sono persone che vengono tre mesi all’anno tutti gli anni. Purtroppo quello che è difficile per un dipendente capire è che deve avere il coraggio per entrare in una strada nuova, conoscere nuove emozioni, nuove realizzazioni, nuove emozioni.
La maggior parte delle persone ha vissuto un trauma, ad un certo punto qualcosa nella loro vita non ha funzionato, si sono sentiti inadeguati. Il problema è cosa “stava dietro” a quel momento.
Ho fondato Chrysalis Italia con una mission specifica: riabilitare e reinserire la persona con trascorsi di dipendenza avendo cura dell’individuo nella sua piena integrità e dignità personale, predisponendo l’intervento ad una relazione paritaria che prenda in considerazione tutti gli aspetti della persona e del vivere. Per questo ho scelto “Art of living” come motto.
Il comportamento dipendente, infatti, ha la sua radice in un disagio dell’esistenza, psicologico, neurobiologico e relazionale o sociale, in cui la realtà è percepita come ingestibile, ma alla dipendenza spesso si accompagna lo stigma. Considerare correttamente la dipendenza come un’anomalia a livello psicologico e neurobiologico scardina lo stigma, riduce notevolmente il rischio di ricaduta e orienta la riabilitazione in una ottica di dignità e fiducia.»
Ogni volta si crea una piccola nuova famiglia?
«Si, una piccola famiglia, breve, nuova, che non ha rotture. Noi siamo quel qualcuno che sta vicino a te e crede in te, che ti dà sempre forza, e che dà alternative. Queste persone quando arrivano da me alternative non ne hanno, se non continuare ad usare. Dare un periodo dove rimetterli fisicamente, farli sentire importanti un’altra volta, ecco cosa può fare la differenza.»
Come avviene il rientro nel contesto familiare o lavorativo?
«È un momento molto delicato. Il cervello è abituato a certe emozioni. È importante che la famiglia capisca che, come dopo qualunque malattia, c’è bisogno di un periodo di convalescenza.»
Nel corso degli ultimi anni, quanto sono cambiate le sostanze stupefacenti?
«Stiamo assistendo a una notevole maggiore complessità nei modelli di consumo di stupefacenti: medicinali, nuove sostanze psicoattive non controllate e sostanze quali ketamina e GBL/GHB sono ora associate a problemi di droga.
Prima l’eroina era eroina, la cocaina era cocaina, gli acidi erano acidi. Per tutto quello che si usava 20/30 anni fa si sapeva il comportamento che causava. Oggi tutto quello che si usa in mezzo a una strada non è più ben definibile. Si definisce ancora eroina, ma dentro ora ci sono farmaci, psicofarmaci, veleno dei topi e tantissime altre sostanze che non c’entrano niente con l’eroina. Per di più, non esistono sono studi che dicono “questo + questo + questo fà questo al cervello”, e ben che meno esistono guide su come trattarle. E’ per questo un lavoro difficilissimo, devi partire per forza con l’amore perché non so effettivamente quale sostanza, o quale mix di sostanze, sta agendo nel corpo della persona che ho davanti. A volte si va per tentativi.»
Ed i ragazzi, rispetto alla tua gioventù, come sono cambiati nella ricerca delle sostanze?
«Oggi con Internet i ragazzi si informano, o comprano direttamente su internet. Il cocainomane arriva con la dipendenza da cocaina, ma sa che se beve alcol la cocaina “se ne scende”, sa che se va in depressione si prende qualcosa per rialzarsi dalla depressione, sa che se va in paranoia si deve prendere le benzodiazepine per calmarsi. Quando arriva da me non è solo da curare la cocaina, ma un mix di tante altre sostanze e farmaci. Tutte le droghe innestano il sistema della gratificazione, fanno dimenticare i pensieri, i vuoti, i dolori, danno quel periodo finché la sostanza non “scende” e poi riparte tutto un’altra volta e ce ne vuole sempre di più. In Italia l’uso di Benzodiazepine è il più alto di tutta Europa. Questo dato è allarmante.»
La depressione ha un legame con l’uso delle sostanze?
«Ci sono demoni interiori. Depressione e dipendenze hanno un legame stretto e pericoloso».
Pensando ai giovanissimi, gli ultimi studi condotti in Italia rivelano dati estremamente allarmanti per quanto concerne l’abuso degli psicofarmaci da parte degli adolescenti. L’ultimo studio condotto dall’Ifc-Cnr, Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, rivela che il consumo, meglio l’abuso, degli adolescenti di farmaci, in particolare degli psicofarmaci, senza ricetta è aumentato. Inoltre, l’età media in cui i teenager si avvicinano a queste sostanze si è abbassata, tra i 13-14 anni. Ben 1 teen-ager su 10 usa medicinali, sfuggendo al controllo medico o familiare, per aumentare le performance scolastiche o per potenziare i livelli di autostima, mettendo a rischio la salute.
Nelle famiglie quanta consapevolezza c’è?
«Il dato è preoccupante, tanto più che farmaci e psicofarmaci creano dipendenza chimica e psicologica. La consapevolezza delle famiglie è bassissima. Nei miei casi, posso affermare che per l’80% la consapevolezza è pari a zero. Quando i familiari poi si rendono conto, soffrono molto anche loro, e sono in difficoltà, perché conoscono poco la malattia.»
A livello fisico, qual è la sostanza più difficile?
«Eroina. Ma l’unica sostanza che potrebbe uccidere qualcuno in astinenza è l’alcol. Non si può togliere l’alcol da un giorno all’altro. L’astinenza da alcol è la più pericolosa. Qui in Italia è assurdo che bar e ristoranti non vendano bibite analcoliche e che il consumismo uccida le persone. Qual è il motivo per cui una persona si deve sentire talmente in imbarazzo da chiedere una birra analcolica, ad esempio? Questo è un messaggio molto difficile da far passare.»
C’è stata una storia che ti ha colpito particolarmente, una persona che hai seguito che sembrava avere poche chance ma ce l’ha fatta, qualcuno che ti è rimasto nel cuore tra tutte le persone che hai incontrato in questi anni?
«Chi riesce e ce la fa, non è quello che ti rimane impresso. Rimane impresso chi non ce la fa. Magari dopo mesi o qualche anno, per colpa di un’overdose o qualcosa del genere, sono morti. Mi ricordo di un ragazzo in particolare che è stato con noi per 3 mesi. Aveva un cuore d’oro, una persona davvero speciale, tutti quelli che lavoravano con lui ne erano innamorati. Quando tornò a casa, dopo 5 o 6 mesi, si uccise. Sono queste le storie che non riesco a dimenticare. Ci siamo rimasti tutti malissimo perché io e i miei collaboratori siamo abituati a vedere ed esplorare tutto il bello delle persone, il nostro tempo non viene speso tanto su quanto stava male, ma cercare di far emergere tutte quelle cose belle che poteva avere e farlo vivere»
Si parla molto delle “New Addiction”. Dalla dipendenza affettiva, a quella per il gioco, alla dipendenza da internet, e molte altre. Ci sono dipendenze più accettate a livello sociale?
«Prima ci vuole la consapevolezza di capire qual è la dipendenza. In Inghilterra si dice che “la madre di tutte le dipendenze è la codipendenza”, una tematica di cui qui in Italia si parla ancora poco. Penso solo all’uso delle parole. “Shop alcolic”, “work alcolic”: lo stigma c’è già nelle parole. Quello che non c’è è che non vogliamo curare i dolori. È molto più facile prendere una parola e metterla su qualcosa che crea lo stigma, come l’alcol. I disturbi comportamentali sono tantissimi.»
Perché qualcuno si fa male da solo? Che risposta ti sei dato?
«C’è un dolore di base che non vogliamo sentire»