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Nello spazio indipendente per l’arte contemporanea 16 Civico di Christian Ciampoli, inaugura oggi, alle ore 18.30, “Aizarcomed – Democrazia” di Zoya Shokoohi, a cura di Antonio Zimarino con un testo critico di Matteo Di Cintio.

‘Aizarcomed – Democrazia’ è, adottando le parole del curatore, Antonio Zimarino, “una mostra, un’azione collettiva, una chiamata a raccolta, una proposta, un luogo di relazione e forse, molto altro. Possiamo definirlo un environment che coinvolge alla partecipazione e all’impegno tanto le coscienze che l’agire delle persone.”

Zoya Shokoohi (1987, Isfahan, Iran) proveniente da una formazione scientifica e artistica, si è trasferita in Italia dall’Iran nel 2015. Nel testo di accompagnamento alla mostra racconta la genesi del progetto:

“Nel novembre 2019 lo stato Iraniano ha ucciso all’incirca 1500 civili durante un blackout internet, mentre i cittadini protestavano! Per vincere davanti alla crudeltà delle azioni, anche di quelle di uno Stato politicamente cattivo oggi posso e devo essere ancora, sempre, pittrice. Devo, voglio mettermi a dipingere fiori e ancora fiori, simbolo molteplice di bellezza, passione, amore, testimonianza. Un fiore, per ogni azione ingiusta, per ogni dolore, per ogni persona uccisa. Vorrei fare una piantagione di fiori rossi, per tutte le persone che lo Stato uccide. Ma mi faccio due calcoli: riuscirei a rappresentare un fiore rosso in 30 minuti, se dovessi disegnare ininterrottamente senza fare nient’altro, riuscirei a produrre 48 fiori rossi in 24 ore e 336 fiori in una settimana! Non bastano! Solo 336 fiori per 1500 morti in una sola settimana in un solo Paese,

C’è solo una possibilità allora: oltre a disegnare i fiori, è necessario insegnare (insegnarci, imparare) a produrre fiori, per avere più fiori possibili. Proviamo a immaginare una scuola, un “buon luogo” nel futuro, in cui vengono insegnate oltre altre materie, anche a produrre i fiori rossi; gli studenti alla fine del processo didattico sapranno fare “fiori rossi”. 

Zoya Shokoohi, hai scelto per questo intervento un luogo particolare, il 16 Civico di Pescara, un territorio indipendente e situato ai confini della città. Hai attraversato confini sia nella tua vita – hai lasciato l’Iran e dal 2015 vivi in Italia – sia nella tua pratica artistica. Mi riferisco ad esempio alla tua performance “Attraversa il confine” Palazzo Strozzi, Firenze 2021 / MIA 2023. Come “abiti” questo nuovo territorio?

Nella mia vita mi sono sempre approcciata alla tematica del confine attraverso tutte le pratiche artistiche. Sono sempre stata su questa linea del confine, praticando e sperimentando relazioni, scrivendo cultura grazie alla relazione con gli altri. Ritengo che la cultura non si acquisisca, ma si costruisca, si scriva, proprio grazie alla relazione con gli altri. Nel caso di 16 Civico, appena sono entrata qui – nel 2019 – sono rimasta fortemente affascinata dalla natura domestica di uno spazio che vuole essere uno spazio per gli altri pur mantenendo la connotazione e lo stile originari. In quel periodo avevo questa idea dei fiori rossi, di lavorare su una molteplicità di fiori rossi, è passato del tempo ma finalmente posso dar vita a questo progetto.

C’è un ruolo didattico nella tua arte, chiedi un coinvolgimento attivo e partecipativo da parte del pubblico per la realizzazione di un progetto. Di cosa si tratta?

In questa mostra ci sarà la presentazione dell’idea di costruire una scuola, che nel mio immaginario è nel sud-est dell’Iran, chiedendo una partecipazione attiva alla progettazione. Penso alla pratica di costruire una scuola, in cui si insegnerà anche a realizzare i fiori rossi, grazie alle relazioni che si creeranno in questa mostra. Sono partita dal presupposto di un massacro in Iran, ma questo è il punto di partenza, come lo sono le mie origini, il contesto però è il mondo cosmopolita. Avrei potuto avviare un crowfounding per questo progetto ma mi sono resa conto che non sono in grado di definire tutto da sola, serve la partecipazione effettiva per andare avanti e per far diventare realtà un’idea.

Oltre questo piano di progettazione partecipata c’è un altro concetto legato alla condivisione di un’idea, che apre ad una serie di domande.

La scuola gira intorno al concetto di fiore rosso, mi piaceva creare un’utopia. Immagino un futuro in cui in questa scuola si insegnerà a fare fiori rossi, ma come si chiamerà questa materia? E ancora, quanto sentiamo la necessità, oggi, di fiori rossi? Finora mi hanno risposto una trentina di artisti e scrittori che mi hanno affidato punti di vista diversi, messaggi poetici, attivisti, o silenzi, per lettere ed inviti cui non ho avuto risposta. È stata anche questa una scuola per me, mi chiedo quanto sia valido effettivamente questo pensiero che mi lega ai fiori rossi, quanto effettivamente è efficace? Che valore hanno questi fiori rossi? Ho chiesto anche all’Intelligenza Artificiale.

Sei partita dal simbolo del fiore rosso, anzi dalla visione di una molteplicità di fiori rossi. Che significato ha per te?

Il fiore rosso può essere simbolo di attivismo, della lotta alla violenza, ma anche un’immagine romantica, pensiamo a San Valentino. Per me, tuttavia, il fiore è innanzitutto un simbolo di purezza e di innocenza e, soprattutto, è legato al concetto di testimonianza. Non voglio che venga caricato di connotazioni legate al sangue o alla paura. I fiori sono innocenti, mi affido al momento in cui ho avuto questa immagine, come al sentire una necessità di fiori rossi. Mi viene anche in mente l’azione “Rosa per la Democrazia Diretta” (Rose für Direkte Demokratie) di Joseph Beuys, di cui peraltro ci sono meno testimonianze documentali rispetto agli altri lavori, ed il concetto espresso dall’artista “senza fiori non possiamo, perché non possiamo più pensare”.

Quanto il movimento di protesta nato in Iran a seguito dell’uccisione di Mahsa Amini ha potenziato il tuo essere attivista tramite l’arte ed il rapporto con l’Iran, la tua terra di origine?

Le mie origini sono iraniane ma non mi riconosco del tutto in quel territorio, mi appartiene per le origini, ma mi sento transnazionale.

In Iran ho fatto l’Università e sono stata anche attivista, ma allora sperimentai un senso di inutilità che mi portò ad allontanarmi, sentivo che tutto fosse vano. Quando è invece nato il movimento mi sono sentita coinvolta intimamente, mi è sembrata che davvero fosse una ribellione dei corpi. Mi sono sentita anch’io violata, anche solo per essere costretta a portare il velo.

È nato così nello spazio indipendente “Portineria” di Firenze “For Iran – a contribution to the present”: con l’artista, anche lui iraniano, Mohammad Fallah, abbiamo immaginato e realizzato lo spazio espositivo alla stregua di una emergency room, in cui le persone si informavano, si proiettavano video, si tenevano lezioni alle scuole.

Non avevo intenzione di fare qualcosa “da attivista” ma mi sono chiesta cosa posso fare da artista o cosa l’arte può fare. Ci tengo a precisare che non si tratta di un lavoro puro da attivisti, non è possibile procedere ad una identificazione. Sono stata definita in un’intervista recente “attivista” o “artivista” e non mi riconosco davvero in questa definizione. Piuttosto la mia è una esperienza d’arte legata ai concetti dell’Estetica relazionale, ma non so se la mia pratica artistica può bastare a rispondere alla domanda “da artista cosa posso fare?”

E, in conclusione: oggi cosa faremo? Mi piace pensare che ci sia la possibilità di fare qualcosa di buono in un “buon luogo” come il 16 Civico.

L’artista sarà presente all’inaugurazione.

La mostra è visitabile a ingresso libero dal 18 marzo al 15 aprile.

“16 Civico”, strada provinciale per Pescara San Silvestro n. 16.

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