Importante punto sui dati inerenti le donne prese in carico dalla rete del Centro Antiviolenza Alpha della città di Chieti e anche sul linguaggio che accompagna la narrazione della violenza di genere: due appuntamenti che oggi sono stati di casa nel Salone storico della Prefettura come seconda tappa della rassegna di eventi de “La violenza non è amore”, un’iniziativa voluta da Giunta e Presidenza del Consiglio comunale, nata in sinergia con la Centro antiviolenza Alpha, motore della rete comunale e realizzata con il patrocinio della Prefettura di Chieti e con la preziosa collaborazione delle associazioni cittadine che sono anima e cuore degli appuntamenti. Prima la conferenza della Rete, con l’ufficializzazione dei nuovi dati sull’attività compiuta dal centro sul territorio cittadino. Poi l’incontro pubblico, “Le parole che fanno male” a cui hanno preso parte oltre al sindaco, all’assessore alle Politiche Sociali e al Prefetto Armando Forgione, al Questore Francesco De Cicco e ai rappresentanti delle forze dell’ordine, due relatrici importanti Paola Spadari, consigliera segretaria dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, “I media e il racconto della violenza”; Ernesta Bonetti, avvocato di Alpha Centro Antiviolenza, “Sterotipi e pregiudizi nel linguaggio della giustizia”, moderato dall’esperta in tematiche di Genere del Collettivo Fucsia, Benedetta La Penna.
I dati in breve. Da novembre 2021 a oggi le donne che si sono rivolte anche solo telefonicamente al centro, per informazioni e consulenze psicologiche e legali sono state 252, di cui 150 per informazioni ne 43 per consulenze legali. Quelle prese in carico sono in tutto 102: si tratta di donne per lo più fra i 30 e i 39 anni (36%), quelle fra i 40-49 sono il 26%, fra i 20 e i 29 anni il 18 e poi, a scendere, fra i 50-59 il 14%, fra i 60 e 69 il 4 e il 2 % fra i 70 e 79. L’84 per cento delle donne prese in carico è di nazionalità italiana, piccole le percentuali di quelle straniere, fra cui donne dall’Ucraina, Marocco, Cuba, Romania, Tunisia, Bangladesh e Venezuela. Autori della violenza per il 43% i mariti, per il 18% il compagno, per il 16% l’ex marito, per il 9% l’ex fidanzato e, ascendere, il fidanzato, un conoscente, un famigliare, l’ex compagno. L’autore della violenza di riferimento è di nazionalità italiana per l’86% dei casi. Il nostro Centro incontra la realtà di queste donne per lo più a fronte di una denuncia, così è accaduto dal 2015 a oggi, da quando la rete antiviolenza è nata: sono state oltre il 70 per cento le donne che hanno denunciato, oltre il 30 quelle che hanno avuto l’allontanamento dei maltrattanti, sotto il 10 quelle ospitate nelle case rifugio. Tanti i tipi di violenza subita: principalmente quella psicologica, il 36%; poi quella fisica, il 24%; poi quella economica, il 16%; a segui re il 14% violenza sessuale e il 10 stalking.
“Il numero delle donne prese in carico dal Centro Antiviolenza è aumentato, ma non è un fatto negativo – illustra la responsabile del Centro Antiviolenza comunale Marialaura Di Loreto – C’è stato un aumento, perché le donne cominciano ad avere fiducia nell’esistenza di questo Centro e ci chiedono di essere protette. Questo aumento è anche l’onda lunga del Covid, che ha visto esplodere in maniera evidente i casi. L’altro dato è che purtroppo sono aumentate le richieste sulla fascia di età più bassa, sono state tante le donne fra i 19 e i vent’anni di età, ciò significa che va fatta una sensibilizzazione a tappeto nelle scuole per prevenire i casi e formare le donne. Altro dato positivo è che abbiamo inserito diverse donne nell’empowerment lavorativo che ci consente farle operare nelle aziende che fanno parte della rete e ricominciare. A queste donne va dato atto del grande coraggio che hanno nell’affidarsi al centro antiviolenza, chi chiede aiuto ha sempre molto coraggio, una forza che ci consente di aiutarle a tornare a vivere e lavorare, oppure cominciare a farlo per quante non avevano una vita professionale alle spalle”.
“Quando si parla di violenza contro le donne e di femminicidio non parliamo purtroppo di uno stato di eccezione o di emergenza, ma dell’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica – così il sindaco Diego Ferrara – È un fenomeno strutturale e come tale va affrontato anche a livello istituzionale. Bisogna farlo abbattendo gli stereotipi perché soggezione e obbedienza, rassegnazione, sono ciò che l’uomo della società patriarcale si aspetta dalle donne. Disinnescando già in età scolare la bomba in via di fabbricazione della misoginia e sessismo, si arriverà a non farla esplodere. Il Comune collabora con la Rete e Politiche sociali e servizi mirati a questo e concertati con il mondo che opera in questo campo. Lo facciamo con l’auspicio di arrivare a ciò che auspicava la poetessa Susanna Chavez in un’affermazione divenuta famosa in tutto il mondo e che purtroppo non le ha salvato la vita: non una donna in meno, non una donna morta in più. A questo dobbiamo e vogliamo tutti puntare lavorando dentro le istituzioni e dentro le famiglie”.
“L’Amministrazione sta utilizzando tutti gli strumenti a disposizione per potenziare interventi e presenza – così l’assessore alle Politiche Sociali Mara Maretti – in primis il Piano sociale, ma soprattutto i servizi alle famiglie, perché il collegamento con gli asili nido, le ludoteche le scuole sono ponti che consentono ai nostri operatori di agire a contatto con le famiglie, cosa per cui sono formati, in modo da poter prevenire i fenomeni e riconoscerli. Noi abbiamo un atteggiamento sussidiario rispetto alle realtà che operano in questo settore: cooperative, associazioni, che ogni giorno agiscono prendendo in carico le situazioni di fragilità. Io ringrazio tutti coloro che si stanno dando da fare perché oggi le amministrazioni sono assolutamente e giustamente obbligate a creare reti sul territorio con le attività del terzo settore ed è un piacere farlo perché questa azione ci aiuta nella gestione delle criticità del territorio e nella prevenzione. Queste forze sono per noi un braccio operativo, un sostegno concreto, una linfa davvero vitale”.
“Le parole sono pietre – conclude Paola Spadari, segretaria dell’Ordine nazionale dei Giornalisti – I giornalisti devono fare la loro parte nel racconto della violenza al femminile, usando termini corretti e non cadendo nei luoghi comuni degli stereotipi e usando un linguaggio continente, non aggiungendo particolari che sono finalizzati solo a suscitare istinti in chi legge che non remano nel migliorare la cultura rispetto a questo fenomeno, ancora molto significativo, della violenza sulle donne. Come ordine dei Giornalisti nazionale, nella giornata contro la violenza di genere abbiamo richiamato i colleghi al rispetto delle regole per un’informazione corretta e un linguaggio adeguato a tutela delle vittime. Un assassinio è un assassinio e non si uccide per amore e come tale va descritto anche dai media”.