All’interno della famiglia è possibile osservare una delle più frequenti estrinsecazioni della violenza, sia fisica che psicologica che può anche essere originata da una malattia psichica, a volte difficilmente diagnosticabile, e che fa assumere alla violenza una peculiare connotazione con conseguenze anche gravi per le vittime.
Occorre prestare particolare attenzione ai segnali premonitori di tali violenze, evitando di sottovalutarli e prevedendo interventi tempestivi di strutture sanitarie e preventivi dell’Autorità Giudiziaria in grado di evitare conseguenze drastiche con l’allontanamento dal nucleo familiare dei soggetti a rischio di violenze.
Nell’ambito familiare la violenza psichica non patologica è originata sovente da un reflusso di tensione o insoddisfazione dei coniugi, ma caratterizzata da una situazione di parità dialettica e di violenza tra i partners; invece, nei casi patologici può essere caratterizzata da una sottile e perversa violenza, per lo più psichica, per le peculiarità del manifestarsi della stessa, non è ravvisabile dall’esterno e non è individuabile, nella gran parte dei casi neanche dalla vittima che sovente dopo anni si rende conto che “qualcosa non va”.
La violenza familiare, in precedenza fenomeno nascosto, oggi è sempre più oggetto di attenzione verso l’esterno grazie anche alle denunce delle vittime che rischiano ripercussioni fino all’omicidio, da parte del suo carnefice, che se persona con un disagio psichico può reagire imprevedibilmente quando perde l’oggetto del suo desiderio (di violenza) patologico.
Se originata da una malattia psichica (per lo più paranoia, schizofrenia o altre perversioni) la violenza può assumere diversi livelli di intensità, anche di elevata gravità che possono portare alla distruzione psicologica della vittima acuita dal timore di denunciare la situazione di disagio in cui si è venuta trovare.
La violenza psicotica può esprimersi sotto varie forme e con differente intensità da caso a caso.
Solitamente, l’eziologia di tali comportamenti viene definita “depressione” o “raptus”, mentre la causa va ricercata nella patologia da cui spesso è affetto il soggetto.
Il coniuge, nel caso in cui la violenza viene denunciata e poiché solitamente la malattia non viene diagnosticata, è ritenuto responsabile sia sotto il profilo penale (per i reati di lesioni personali (art. 590 c.p.), ingiuria (art. 594 c.p.), violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), sia, più raramente, sotto quello civilistico ai sensi dell’art. 2043 c.c.
È possibile che la vittima, nel caso in cui tenti di affrancarsi dalla violenza del partner, possa essere oggetto di atti estremi quali l’omicidio: ultimo atto di supremazia del carnefice che vede ormai perso il controllo e, quindi, anche il potere sull’altro che ha deciso di allontanarsi dalla famiglia.
Non è facile distinguere una normale lite familiare, con generale anche se non assoluta, posizione di uguaglianza tra i coniugi, dalla violenza psichica originata dalla patologia mentale da cui è affetto il carnefice e che vede la vittima in una posizione di inferiorità, fino a divenire oggetto di violenze con conseguenze psicologiche e sociali permanenti.
La vittima a poco a poco in modo subdolo viene plagiata, manipolata, depersonalizzata, logorata, condizionata in ogni sua manifestazione dal carnefice, sino a renderla incapace di ribellarsi, perché ha perso la stima di sé stessa e crede di non essere capita dagli altri non avendo prove tangibili da esibire; spesso non ha un lavoro né mezzi economici per affrontare chi l’aggredisce, il quale si presenterà con gli estranei in veste di vittima. Non è casuale la scelta della vittima nell’ambito della cerchia degli affetti in quanto deve possedere determinate caratteristiche a seconda della patologia da cui è affetto il carnefice: il perverso narcisista la cercherà con le qualità che lui stesso vorrebbe possedere, il paranoico ed il perverso la cercano tra le persone non con forte personalità e che tendono a colpevolizzarsi per quanto loro accade. La vittima, a volte, prende le difese del suo aggressore, lo scusa per i suoi comportamenti, o perché è molto plagiata da lui, o perché non vuole o non può rovinare pubblicamente la sua buona immagine (ad es. se è un professionista affermato), o perché ci sono i figli che non capiscono (ad es. se anche loro sono plagiati ma trattati bene), o perché in attesa di potersene liberare preferisce non complicare ulteriormente la situazione e quindi continua a sopportare. In genere chi pone in essere sistematiche aggressioni non adotta violenze fisiche facilmente dimostrabili ma agisce sempre in assenza di testimoni in modo tale che la sua vittima non possa provare nulla delle vessazioni a cui è sottoposta.
Per un inconscio meccanismo di autodifesa spesso la vittima, “dimentica di ricordare“, cioè rimuove dalla mente ciò che ha subito: ha, pertanto, difficoltà ad esporre l’accaduto, sia in assenza e tanto più in presenza del proprio aggressore.
Uno studio canadese ha evidenziato che solo il 17% degli uomini che frequentano un percorso di gestione della violenza, reitera la sua condotta nei confronti della donna, e ciò significa che, su 100 uomini che accettano di farsi aiutare, 83 smettono di perpetrare minacce, stalking, violenze in ambito familiare. Ciò significa altrettanto che 83 nuclei familiari vengono salvati.
Il maltrattamento ai danni delle vittime non è certamente un fenomeno moderno. É invece molto recente la presa di coscienza, da parte della società, della vastità del fenomeno e della gravità delle sue conseguenze. Definiamo con maltrattamento atti e carenze che turbano gravemente la vittima, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono lesioni di ordine fisico, ricadute di carattere psichico, o sessuale. La definizione comprende diverse tipologie di soprusi che non vanno considerati come forme assolutamente separate ed autonome, in quanto spesso il maltrattamento comporta la compresenza di diverse forme di abuso, ed inoltre in tutte le forme di violenza è sempre presente in qualche misura il maltrattamento psicologico. Quest’ultimo è la forma più diffusa di violenza ed è quella più difficile da riconoscere. É fatta di ricatti, minacce, indifferenza, squalifiche, mancanza di rispetto, eccesso di pretese, richieste sproporzionate… La forma più estrema e grave di maltrattamento, soprattutto per i danni enormi che produce, è l’abuso sessuale. È stato evidenziato che la maggior parte delle vittime, prima di attuare un percorso di uscita da tale situazione malsana, indugiano molti anni in una relazione violenta che le danneggia sul piano fisico e psichico.
La violenza di genere è un problema mondiale di cui si è preso atto sin dal 1975, data nella quale il tema è stato dichiarato dall’ONU come il reato più diffuso nel mondo.
Una teoria recente è quella proposta dallo studioso Walker chiamata la “sindrome della donna picchiata” basata sul modello dell’impotenza appresa (Seligman, 1975). Secondo tale modello teorico, quando una persona si trova di fronte ad una situazione da cui non riesce a fuggire e non vi è corrispondenza tra i suoi sforzi e i risultati ottenuti, finirà per sviluppare un senso d’impotenza, caratterizzato da apatia ed incapacità di reagire di fronte a tale condizione difficile. Secondo Seligman (1975), questo modello permette di spiegare le reazioni psicologiche di una donna maltrattata.
Per tali motivi appena espressi e supportati da evidenze scientifiche che L’Associazione Fa.Vi.Va Famiglia, Vita e Valori di Pescara, in occasione del 25 novembre 2020, Giornata Mondiale per la lotta alla Violenza, lancia un appello a tutte le istituzioni del territorio abruzzese per richiedere la possibilità di case rifugio per ospitare le persone vittime di violenza. Non lasciamo che le vittime tornino a casa dal proprio carnefice ma diamo a loro un’alternativa, un rifugio dove poter essere accolte e protette. Grazie.