Saranno il giornalista Paolo Mieli, affiancato dal dirigente Rai Angelo Mellone, e la rappresentazione de ‘La Figlia di Iorio’ del Teatro Stabile Abruzzese i due eventi clou domani, lunedì 7 settembre, della settima giornata de ‘La Festa della Rivoluzione – d’Annunzio torna in Abruzzo’, promosso dalla Presidenza del Consiglio regionale d’Abruzzo, con il Consiglio e la giunta regionale e il Comune di Pescara. Due momenti di grande approfondimento che consentiranno di dibattere del rapporto del Vate con il suo Abruzzo in chiave moderna, e di rivivere le emozioni di una delle opere più celebri del poeta.
“Dalla musica al teatro, dalla riflessione giornalistica ai momenti di intrattenimento più leggeri – ha detto il Presidente Lorenzo Sospiri –, la ‘Festa della Rivoluzione’ è esattamente un viaggio nel poliedrico mondo di d’Annunzio. Un viaggio però che non abbiamo voluto limitare a una ristretta cerchia di cultori del personaggio, ma che abbiamo voluto proporre quale ampio strumento di divulgazione per consentire innanzitutto agli abruzzesi, ma anche agli italiani, di conoscere l’estrema attualità, modernità, di un Poeta che è spiritualmente ‘contemporaneo’. Uomo del suo tempo, capace di guardare avanti anche di cent’anni, capace di emozionare ricercatori, docenti, appassionati, e di attrarre diciottenni raccontando il d’Annunzio pubblicitario, paroliere, l’uomo che ha fondato la sua vita sul concetto di velocità, e che oggi si troverebbe perfettamente a suo agio anche dinanzi allo schermo di un Pc a scrivere le sue opere. E i due appuntamenti previsti per domani ci permetteranno di rivivere l’epoca che ha determinato la genesi di un capolavoro letterario come La Figlia di Iorio, ma anche di capire, con Mieli, quanto dannunzianesimo c’è oggi ancora nel suo Abruzzo”.
La giornata di domani, lunedì 7 settembre, si aprirà alle 18 nel piazzale Michelucci dell’Aurum con ‘L’Abruzzo di Gabriele d’Annunzio’, Conversazione con Paolo Mieli, il dirigente Rai Angelo Mellone, il Presidente del Vittoriale degli Italiani Giordano Bruno Guerri. Modera il giornalista Alessandro Sansoni. Paolo Mieli muove i primi passi nella carta stampata da giovanissimo: nel settembre 1967, Eugenio Scalfari lo assume diciottenne a L’Espresso. Il suo ruolo è destinato a crescere sotto le direzioni di Gianni Corbi (1968-1970) e, soprattutto, quella di Livio Zanetti (1970-1984) al fianco del quale sarà inviato di politica internazionale (Israele, Vietnam, Spagna, Etiopia, Marocco, Tunisia, Cecoslovacchia, Francia), capo della sezione culturale. Secondo Nello Ajello, all’epoca condirettore del settimanale, Rosario Romeo, professore esigente e maestro severo, lo considerava una promessa. La militanza in Potere Operaio, movimento politico sessantottino della sinistra extraparlamentare, influenzò i suoi esordi. La sua idea di giornalismo si modifica col passare degli anni: da posizioni estremiste, Mieli passa presto a toni moderati durante gli studi di storia moderna all’Università, dove i suoi maestri sono i citati Romeo e De Felice. Fondamentale nella sua formazione sarà anche la figura di Livio Zanetti, suo direttore all’Espresso. Nel 1985 passa a la Repubblica, dove rimane per un anno e mezzo, per approdare poi a La Stampa. Il 22 maggio 1990 diviene direttore del quotidiano torinese della famiglia Agnelli. In questi anni Mieli affina il proprio stile giornalistico che, con un neologismo, verrà definito “mielismo”, e prenderà forma soprattutto con il suo passaggio al Corriere della Sera (10 settembre 1992). Il neodirettore Mieli, come già sperimentato con successo a La Stampa, svecchia il giornale della borghesia lombarda, alleggerendone foliazione e contenuti utilizzando linguaggio, personaggi e tematiche fin allora confinati alla televisione e ai tabloid di gossip, cercando di attrarre lettori con iniziative allegate al quotidiano. Il cambiamento funziona: il Corriere non perde ma anzi consolida la propria autorevolezza. Il periodo politico vede l’estendersi a macchia d’olio delle inchieste sui politici italiani corrotti, chiamate col termine di Tangentopoli: Mieli tenta di mantenere una posizione abbastanza equidistante dai poteri pubblici e privati (che controllano saldamente il quotidiano: la Fiat dell’avvocato Agnelli, le banche e gli industriali, i membri del famoso “salotto buono”, riuniti da Enrico Cuccia in Mediobanca). La posizione non sarà priva di incongruenze e verrà tacciata di cerchiobottismo, neologismo coniato da Giovanni Valentini. Il 7 maggio 1997 Mieli lascia la direzione del quotidiano lombardo; al suo posto subentra Ferruccio de Bortoli. Mieli diventa direttore editoriale del gruppo RCS e, dopo la scomparsa di Indro Montanelli, dal settembre 2001 al dicembre 2004 si occupa della rubrica giornaliera Lettere al Corriere, dove dialoga coi lettori su temi prevalentemente storici. Il 7 marzo 2003 venne indicato dai presidenti di Camera e Senato come nuovo presidente della Rai. La notizia della nomina fu seguita dalla comparsa di alcune scritte antisemite sui muri della sede Rai di Milano in corso Sempione, per le quali Mieli ricevette la solidarietà di tutto il mondo politico italiano. La nomina durò pochissimi giorni: Mieli rinunciò all’incarico il 13 marzo, non sentendo attorno a sé, per motivi definiti “di ordine tecnico e politico”, l’appoggio necessario alla sua linea editoriale. Il 24 dicembre 2004 torna a dirigere il Corriere della Sera sostituendo Stefano Folli. Il 2 dicembre 2008 è oggetto di una dichiarazione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, durante una visita in Albania a Tirana, se la prende con il Corriere della Sera e con La Stampa aggiungendo: “certi direttori cambino mestiere”. Il 30 marzo 2009 il CDA di RCS MediaGroup decide di sostituirlo nuovamente con Ferruccio de Bortoli, come già accaduto nel maggio 1997. Mieli lascia la direzione della testata l’8 aprile 2009 per assumere l’incarico di presidente di RCS Libri. Dopo la cessione di RCS Libri a Mondadori (14 aprile 2016), Mieli viene sostituito da Gian Arturo Ferrari alla presidenza, ma resta membro del consiglio d’amministrazione. Da alcuni anni tiene regolarmente un seminario sulla “Storia dell’Italia Repubblicana” presso la facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano. È membro del comitato scientifico della Fondazione Italia USA e della Fondazione SUM, legata all’Istituto Italiano di Scienze Umane. In ambito televisivo Mieli è presente nelle trasmissioni storiche di Rai 3: è uno dei volti principali del “Progetto Storia” avviato per il terzo canale da Pasquale D’Alessandro, avendo partecipato, come conduttore, autore e commentatore, a Correva l’anno, La grande storia, Passato e Presente. Ha anche guidato trasmissioni per Rai Storia. Dirige per la Rizzoli la collana di saggi storici I Sestanti e per la BUR cura la collana La Storia · Le Storie. Attualmente collabora al Corriere della Sera scrivendo editoriali in prima pagina e recensioni nelle pagine culturali. Il 2020 lo ha visto riconfermato alla conduzione di Passato e Presente, programma (produzione di Rai Cultura) in onda dal lunedì al venerdì alle 13.10 su Rai Tre (e in replica alle 20.30 su Rai Storia). Inoltre, nel 2019 ha condotto otto puntate domenicali in prima serata per La grande storia. Nella stagione 2019-2020 Mieli partecipa ogni lunedì, mercoledì e venerdì alla trasmissione radiofonica 24 Mattino trasmessa da Radio 24, commentando le notizie del giorno con la rassegna stampa insieme a Simone Spetia. Nella stagione successiva commenta ogni giorno i temi della giornata, dal lunedì al venerdì, affiancando Simone Spetia all’inizio della terza parte di 24 mattino.
Alle ore 21.30, sempre all’Aurum, andrà in scena ‘La Figlia di Iorio’, Spettacolo del Teatro Stabile Abruzzo, di Vincenzo Pirrotta, con le musiche di Antonio Vasta suonate dal vivo dall’autore. Vincenzo Pirrotta, allievo di Mimmo Cuticchio, dal 1996 conduce una ricerca sulle tradizioni popolari usandole nel teatro di sperimentazione. L’opera ‘La figlia di Iorio’ sarà recitata da un solo attore, aiutato da un musicista polistrumentista che suonerà solo strumenti pastorali (zampogna, organetto, chalomou). L’attore, interpretando tutti i personaggi, incarnerà di volta in volta Aligi, Mila, Lazaro, Candia, ritornando alle tecniche di ‘Cuntu’ nei momenti corali. Un modo diverso di vivere questo dramma pastorale, conservando tutta la forza e il pathos del capolavoro di Gabriele D’Annunzio.
La vicenda de ‘La Figlia di Iorio’, opera del 1903, è ambientata in Abruzzo, nel giorno di San Giovanni. La famiglia di Lazaro di Roio del Sangro sta preparando le nozze del figlio Aligi; l’atmosfera è gaia grazie ai canti e ai dialoghi allusivi ed effervescenti delle tre sorelle. Aligi pare comunque turbato da strane sensazioni e da presagi e si esprime in un linguaggio onirico. Mentre la cerimonia nuziale sta procedendo con un frammisto di riti rurali, ancestrali, pagani precristiani, irrompe nella casa Mila di Codra (la figlia di Iorio, un mago) per cercarvi rifugio; lei è una donna dalla cattiva fama, ma è costretta a fuggire per evitare le molestie di un gruppo di mietitori ubriachi. Quando Aligi, incitato dalle donne presenti al matrimonio, sta per colpirla, viene fermato dalla visione dell’angelo custode e dai pianti delle sorelle. Aligi riesce persino a convincere i mietitori a rinunciare alla loro preda. Mila e Aligi finiscono per convivere assieme in una caverna pastorale in montagna (la Grotta del Cavallone); la loro unione non è peccaminosa e anzi sperano ardentemente di recarsi a Roma per ottenere la dispensa papale e poi sposarsi felici e contenti. Ma non è una favola, né tanto meno una storia a lieto fine, anzi la situazione precipita rapidamente: Ornella, una sorella di Aligi, addolora profondamente Mila con il racconto sullo stato di disperazione in cui è caduta la sua famiglia, dopo la partenza di Aligi. Mila decide allora di fuggire, ma viene fermata da Lazaro che cerca di sedurla con la forza; Aligi interviene a difendere la donna e nasce così una colluttazione tra padre e figlio che terminerà con la morte del primo. Aligi evita la condanna solo per l’autoconfessione di Mila, che si addebita ogni colpa, autoproclamandosi strega. La giovane verrà condotta alla catasta per morire sulle fiamme.
Fondato nel 1963, con atto costitutivo datato 28 ottobre, il TEATRO STABILE DELL’AQUILA è stato poi trasformato in TEATRO STABILE ABRUZZESE nel 1991.
Nel 2000 si è costituito il TEATRO STABILE D’ABRUZZO – ENTE TEATRALE REGIONALE, la cui assemblea dei soci è costituita da Regione Abruzzo, Provincia di L’Aquila e Comune di L’Aquila. Luciano Fabiani, Peppino Giampaola ed Errico Centofanti furono i 3 fondatori del TSA, che con la loro caparbietà ed il loro sogno, portarono in Abruzzo la produzione teatrale, dopo secoli di dipendenza dall’offerta del mercato, dando vita ad un originale esperimento per il mondo teatrale dell’epoca. Il nome Teatro Stabile dell’Aquila ha dato omaggio per anni alla città portando grandi allestimenti sui palcoscenici italiani e su quelli di tutto il mondo, anche se fin dalle origini è stata chiara una reale connotazione di teatro del territorio. Per ottenere il riconoscimento dallo Stato come teatro a gestione pubblica, la sede doveva essere situata in una città con almeno 300.000 abitanti, fu così ideato un consorzio di città, per dare la base demografica alla fondazione del Teatro. Fu merito dei fondatori se la Direzione Generale del Ministero della Cultura modificò la norma istitutiva dei Teatri Pubblici in senso territoriale, accettando il TSA nel novero dei grandi Teatri. Massima Istituzione abruzzese di produzione artistica, ha messo in scena testi che spaziano dalle sacre rappresentazioni dell’inesplorato patrimonio post-medioevale, alle opere di Ferdinando Galiani, D’Annunzio, Silone, Pomilio fino ai testi moderni e contemporanei di Povod e Strindberg.
Gli spettacoli del TSA hanno condotto sui palcoscenici di tutta Italia la grande drammaturgia abruzzese, cui era mancata fino ad allora un’attenzione che la proponesse in una organica sistemazione storico-critica.