“Snam affair” è il titolo di un corposo dossier prodotto dal Coordinamento No Hub del Gas in cui, dati ufficiali alla mano, da un lato si prova l’inutilità di nuovi gasdotti, stoccaggi, rigassificatori e centrali di compressione, come il metanodotto “Linea Adriatica” e la centrale di compressione di Sulmona e dall’altro si spiegano le ragioni di questa deriva fossile.
Il dossier si fonda sull’analisi critica dei piani di sviluppo della rete SNAM 2018-2027 e 2020-2019 (documenti fondamentali secondo la legislazione), del Piano Energia – Clima adottato recentemente dal Governo nonché sui dati ufficiali del MISE e di altre istituzioni e sui risultati di studi pubblicati sulle migliori riviste scientifiche al mondo.
Ebbene, i dati e il confronto tra i vari documenti sono impietosi nel descrivere una generale sopravvalutazione delle necessità di gas e di nuove infrastrutture a fronte di un crollo dei consumi già verificatosi e di un’ulteriore e progressiva contrazione dei consumi entro il 2030 a causa delle politiche di efficienza e di sviluppo delle rinnovabili al fine di combattere (timidamente) la crisi climatica.
Nel dossier sono riportati tantissimi dati. Qui in estrema sintesi evidenziamo:
-il picco dei consumi si è verificato nel 2005 con 86,2 miliardi di mc di gas. La distribuzione allora fu comunque assicurata da una rete di gasdotti che aveva 1.251 km in meno rispetto a quella attuale;
–nel 2019 abbiamo consumato 74,3 miliardi di mc, con una forte riduzione rispetto all’anno di picco;
–le previsioni SNAM dei consumi al 2030 oscillano tra i 70,9 miliardidi mc del Piano 2018 e i 68/73 del Piano 2019. In tutti i casi in ulteriore diminuzione rispetto ad oggi;
-le previsioni del timido e insufficiente piano Energia-Clima del Governo pongono i consumi al 2030 addirittura a 59,3 miliardi di mc, cioè il 32% in meno rispetto al picco del 2005 e il 20% in meno rispetto ai consumi del 2019.
Ci si chiede come sia possibile ritenere efficiente per il paese, con questi dati, forniti dagli stessi soggetti che li propongono e autorizzano, costruire una molteplicità di nuove grandi opere sul gas, dai gasdotti agli stoccaggi passando per rigassificatori e centrali.
Una spiegazione forse esiste e, a nostro avviso, non c’entra con la ricerca dell’utilità generale ma con l’interesse delle società a fare profitto. Infatti, tutte le nuove opere ricadono sulla bolletta degli italiani, attraverso un meccanismo perverso simile a quello delle autostrade che fa guadagnare comunque chi costruisce un’opera legata al gas.
ARERA, l’autorità che si occupa delle bollette, infatti con la Delibera 119/2019 riconosce:
-una remunerazione “base” fissa del capitale investito del 5,7%;
-ulteriori incentivi agli investimenti se ritenuti strategici dell’1-1,5% che si aggiunge al 5,7 per un totale di remunerazione fissa del 7,2% e oltre;
–riconoscimento delle spese in oneri finanziari (tasso applicato) del 5,3%.
Condizioni, applicate per decenni, che nessun cittadino italiano o piccola azienda ha mai visto andando in banca o dal commercialista!
Non è un caso che i servizi di rete (trasporto e stoccaggio del gas) corrispondano ormai al 20% della bolletta del gas pagata dagli italiani.
Ovviamente tutto ciò, come accaduto per le autostrade, si fonda su decisioni dei governi e del Parlamento che nel tempo hanno scatenato una corsa alla nuova opera fondata su una sorta di autocertificazione dell’utilità degli interventi da parte dei proponenti con scarsa capacità di controllo e di verifica sull’effettiva necessità degli stessi da parte del pubblico. Non è un caso che sia Governo che Snam siano così pervicacemente contrari a svolgere la Valutazione Ambientale Strategica sulle modifiche alla rete nazionale dei gasdotti, analisi complessiva che farebbe emergere la totale subornazione delle scelte di politica industriale ed ambientale agli interessi delle aziende.
Il dossier analizza poi nel dettaglio altri elementi del sistema, come l’evoluzione delle esportazioni e la sicurezza della rete attuale per gli approvvigionamenti e la distribuzione, anche nei periodi di punta dei consumi.
Ebbene, emerge chiaramente che:
–le esportazioni cresceranno ma al massimo, a voler credere a SNAM, saranno una quota minima, max 5 miliardi di mc, rispetto ai consumi nazionali (che oggi sono 74,3 miliardi) e infinitesimale rispetto a quelli europei (480 miliardi di mc). Praticamente l’ammissione del flop della strategia dell’hub del gas e, cioè, di diventare un paese di passaggio per il gas;
–la capacità di trasporto di gas è enormemente sovradimensionata, avendo il più basso tasso di utilizzo dei gasdotti (gas trasportato/km di rete) tra i grandi paesi europei (1,7 rispetto a 2,6 della Germania ad esempio). Tale capacità, assieme alla flessibilità garantita dagli stoccaggi, già oggi soddisfa sempre la richiesta degli utenti con un ottimo margine di sicurezza ulteriore, di decine di punti percentuali. D’altro lato la stessa SNAM lo afferma nei Piani.
Quello che sconcerta, tra l’altro, è che i documenti di SNAM sono spesso contraddittori, sia tra di loro che con la pianificazione del Governo. Per i consumi al 2030 c’è uno scostamento tra previsione SNAM e piano energia-clima del Governo di ben 10 miliardi di mc in più, nella migliore delle ipotesi. Il MISE sta autorizzando capacità di rigassificazione per 24 miliardi di mc, quando SNAM sostiene che al 2030 ne serviranno al massimo 9. Snam afferma che il Tap non aggiungerà nuova capacità da sud, andando evidentemente a sostituire l’approvvigionamento da altri paesi, al contrario di quanto affermato altrove. La corsa alle nuove opere, come il gasdotto Linea Adriatica dal costo di oltre un miliardo di euro, o all’ampliamento delle infrastrutture esistenti, è privo di qualsiasi senso dal punto di vista economico ed industriale se parliamo dell’interesse generale. Anzi, danneggia il sistema paese conducendolo verso un binario morto (tranne per i profitti di chi realizza le opere, come abbiamo visto). Il metano è un pericoloso gas serra se emesso tal quale in atmosfera, 80 volte più pericoloso della CO2 come effetti nei venti anni dall’emissione. Nel dossier si elencano le ricerche scientifiche che negli ultimi anni compaiono sempre più numerose sulle migliori riviste scientifiche in merito alle stime delle emissioni di metano da perdite lungo la filiera (estrazione, trasporto, stoccaggio e distribuzione). Sono anche 5 volte quelle ammesse dall’industria. Già nell’ultimo rapporto del 2018 l’IPCC aveva posto con forza l’obiettivo di tagliare le emissioni di metano e allora non vi erano ancora i dati di queste ricerche. In pochi anni tali scoperte si tramuteranno in politiche internazionali se vogliamo salvare il Pianeta dall’emergenza climatica. Puntare sul gas vorrà dire aver mancato non solo gli obiettivi di taglio delle fossili ma anche aver fatto perdere al paese di competitività dal punto di vista industriale scommettendo su tecnologie obsolete.
Come mai queste palesi contraddizioni non vengono fatte emergere dalle autorità di controllo? Da parte nostra invieremo il dossier a tutte le istituzioni, compresa la Corte dei Conti, per le opportune valutazioni e continueremo a contrastare opere inutili come stiamo facendo in questi giorni con la Carovana No Hub del Gas 2020 con tappe nelle 5 regioni dell’Italia centrale (Molise, Marche, Umbria, Lazio e Molise) volte alla sensibilizzazione e all’informazione della cittadinanza.