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Si è svolta questa mattina al Teatro Marrucino di Chieti la cerimonia di consegna del Premio Prisco, giunto alla sua XIV edizione.

L’evento è ideato, organizzato e condotto dal giornalista Stanislao Liberatore. Sono stati premiati l’imprenditore e dirigente sportivo del Frosinone Fabrizio Stirpe (per la categoria riservata alle società), l’ex allenatore del Crotone Davide Nicola (per la categoria relativa agli allenatori) e le giornaliste Gaia Piccardi (Premio Speciale di Giornalismo “Nando Martellini”) e Mila Cantagallo (che ha ritirato l’opera “Games 13” ideata dall’artista Ester Crocetta in memoria di Davide Astori). Era assente il vincitore della categoria Calciatori Gaetano Quagliarella a causa di un’infortunio che lo ha costretto anche a saltare la gara di ieri sera con il Napoli. L’attaccante della Sampdoria ha mandato un messaggio video in cui ha ringraziato gli organizzatori e la giuria per il riconoscimento ed ha salutato il pubblico teatino a cui è rimasto legato dopo il suo trascorso con la casacca del Chieti per una stagione e mezza. Quagliarella ritirerà il Premio in un momento differito che verrà stabilito a breve (per regolamento il Premio deve essere ritirato fisicamente dal vincitore). Inoltre è stato consegnato un Premio Speciale al presidente del Coni Giovanni Malagò.

La giuria che ha decretato i vincitori è presieduta da Sergio Zavoli ed è composta da: Italo Cucci, Gianni Mura, Gian Paolo Ormezzano, Marco Civoli, Franco Zappacosta, Ilaria D’Amico e coordinata dall’imprenditore Marcello Zaccagnini.

Ecco le dichiarazioni dei premiati

Davide Nicola: “È un grande onore per me ricevere questo Premio. Questa mattina ho camminato per Chieti, è stato davvero molto piacevole perché è una città che trasuda storia da tutte le parti, anche per la cordialità della gente che mi ha messo subito a mio agio. A me piace l’Abruzzo generalmente, ci vengo anche ogni tanto e ci vengo sempre molto volentieri, tra l’altro Chieti è la sede del Premio Prisco e per me è veramente un grandissimo onore essere stato scelto per rappresentare questi valori. Credo che il calcio sia fatto di diverse componenti, è vero che anno dopo anno ha beneficiato di diversi cambiamenti evolvendosi nei materiali, nei regolamenti, però c’è una cosa che secondo me il tempo in questo sport non è riuscito a cambiare che sono i valori, perché questi sono appannaggio degli uomini. Quindi da questo punto di vista non so come si andrà a finire o dove finirà il calcio domani, ma so per certo che l’uomo sarà l’unico depositario di questi valori, l’unico custode e parametro. Il settimo scudetto della Juventus? Ovviamente vincere sette scudetti consecutivi non era una cosa successa prima, quindi vuol dire che già di per se è molto difficile, credo che sia anche difficilmente ripetibile, del resto questa è un’idea che ci facciamo noi perché è talmente eclatante vedere questi numeri messi insieme che probabilmente richiede più componenti, indubbiamente stiamo parlando di una società e di una squadra molto forti. Il mio Crotone? Dico che ogni allenatore allena in contesti diversi e in ogni contesto ci sono difficoltà diverse, è chiaro che salvarsi l’anno scorso per il Crotone è stata un’impresa degna di nota, ma è altrettanto chiaro che ci hanno reso anche merito e se n’è parlato, questo rende più orgogliosi che non il risultato in se che è importante, ma aver regalato emozioni è una cosa molto importante per chi fa l’allenatore. Roberto Mancini nuovo ct? Sicuramente è un tecnico che ha una caratura internazionale, una conoscenza anche di altri tipi di campionati, i numeri sicuramente parlano per lui, auguro a Mancini di fare un grandissimo lavoro e auguro al progetto della Nazionale di attuare le giuste strategie perché c’è la possibilità come in ogni situazione di poter adattare dei cambiamenti e poter avviare un nuovo percorso. Della mia esperienza a Pescara nella stagione ‘98/’99 è rimasto tutto nonostante le poche presenze perché bastavano anche poche partite per sentirsi subito in sintonia con la piazza e con l’intera regione perché, ripeto, l’Abruzzo è bellissima anche come regione, se uno ha degli interessi oltre il calcio credo che ci siano davvero tutte le componenti, basta guardare soltanto ieri la grande manifestazione del Giro d’Italia con un panorama splendido, il Gran Sasso è stato bellissimo da vedere. Io ci vengo sempre molto volentieri e come tutte le volte divento tifoso di tutte le squadre con cui ho giocato o ho allenato. Nell’estate 2014 c’era stato un contatto come allenatore, ma era stato un pour parler, quei giochi che poi non vengono portati all’attenzione perché parlare per parlare serve a poco. Il Pescara di quest’anno? Si è complicaro dopo che Zeman è andato via, da esterno non è mai facile dare delle spiegazioni, farsi delle idee precise e non è neanche tanto corretto perché non vivi nel quotidiano e non sai le dinamiche. Indubbiamente vedere Zeman andare via fa pensare che c’era qualcosa che non andava, il campionato ha dimostrato che la rosa era buona, evidentemente non si sarà trovato un ambiente in cui le componenti viaggiano tutte nella stessa direzione, non saprei dire altro perché non c’ero, auguro solo al Pescara di chiudere questa pratica e avviare u nuovo processo. Quando nel mio primo anno da allenatore ero con il Lumezzano seguivo gli allenamenti di Zeman nella stagione 2011/2012, seguo tutti gli allenatori perché sono un allenatore molto curioso, non so se sia un pregio o un difetto. Di Zeman ho sempre apprezzato l’abilità del gruppo, il possesso palla che non è noioso, si va spesso in verticale cercando di battere gli avversari e la sua grande abilità di attaccare gli spazi degli avversari. Lo apprezzo così come apprezzo tutti gli altri allenatori ed ognuno di noi ha il suo marchio di fabbrica perché è giusto che sia così. Le seconde squadre? Ritengo che possano essere un processo ed un avvenimento che in qualche modo ci avvicina un po’ alla realtà di altri campionati e come tutte le cose secondo me vanno provate. Crotone? Per me è e rimarrà un ricordo fantastico, le cose iniziano e poi finiscono, tutte le cose sia positive che negative si vivono attraverso le emozioni, ho scelto la strada delle dimissioni serenamente, ci ho messo tempo per fare questa scelta e sono contento”.

Giovanni Malagò: “Quest’anno è un campionato bellissimo e toccante sotto tutti i livelli, c’è la suspense fino all’ultima giornata per la Champions, per l’Europa League e per le retrocessioni. C’è da segnalare una crescita sportiva delle nostre squadre che sembravano finite sotto il punto di vista degli stimoli e delle motivazioni e poi sono riemerse, questo fa molto bene al sistema e alla credibilità. Le seconde squadre? È impossibile in questo Paese che ci troviamo d’accordo su ogni dettaglio, innanzitutto è importante che se ne parli perché non può che essere un beneficio, poi ci devono essere delle considerazioni di buonsenso per non sfavorire il sistema, non può essere il singolo, ma il complesso che condiziona tutto il progetto. Noi siamo partiti con delle grandi riforme, complicatissime, molto più complicate delle seconde squadre, dalla giustizia sportiva al sistema dell’antidoping, non voglio dire chi tirava da una parte e chi dall’altra, magari anche in buona fede. Noi nei mesi e in qualche caso degli anni le abbiamo tarate sulla base di quelle esigenze e sul campo capivamo che era giusto portare determinati correttivi, però non esiste una legge che quando parte accontenta 60 milioni di italiani. Dobbiamo accontentare più persone possibili, poi ad un certo momento se notiamo che qualcosa non è fatto o è stato dimenticato bisogna integrare, questo è fondamentale. Nella giustizia sportiva i tempi in alcuni casi sono biblici e questo perché c’è una dinamica all’interno della Federazione che tira la palla troppo per le lunghe, ma una volta che arriva al Collegio di Garanzia siamo anche accusati di essere sin troppo veloci. Mancini ct della Nazionale? Sicuramente rinunciando al contratto ha dimostrato di essere una persona che ha capito che cos’è la Nazionale e qualche momento del Paese. Non potevamo prendere in considerazione cicli diversi, penso che sia la persona giusta”.

Gaia Piccardi: “Sono confusa, commossa, stordita. Ringrazio tutti, è una sorpresa bellissima, ringrazio l’autorevolissima giuria e Stanislao Liberatore per questa bellissima sorpresa, quando ho ricevuto la chiamata a febbraio per questa bella notizia veramente disperavo di poter venire a ritirare il Premio durante il Giro d’Italia perché è una specie di Grande Fratello complicato e molto itinerante. Il caso ha voluto che noi ieri fossimo a Campo Imperatore e oggi giorno di riposo tra Pescara e Chieti, forse era destino e sono contenta di farne parte. Il giornalismo al femminile è una bella sfida, le cose difficili nella vita sono altre, è una sfida interessante, insieme agli uomini e a volte contro di loro, continua a vivere un sottile scetticismo nei confronti della donna che si avvicina allo sport come per dire ‘Cosa capisce questa?’. Devo dire che è una sfida appassionante, ormai sono 20 anni che sto al Corriere della Sera, il Premio va anche al giornale che rappresento oggi, e smentire questi maschi scettici e un pochino prevenuti, smentirli giorno dopo giorno è una bellissima ginnastica quotidiana”.

Mila Cantagallo: “Sono veramente emozionata, ringrazio Stanislao Liberatore che è l’anima di questo Premio, sono onorata anche perché dopo tanti personaggi autorevoli del mondo dello sport mi sento una briciola a stare su questo palco. Ringrazio i colleghi dell’Ussi che mi hanno votata, le testate che mi fanno lavorare da tanti anni. Vorrei dedicare questo Premio ad un mio caro amico che faceva il giornalista sportivo, era molto bravo, purtroppo ci ha lasciati prematuramente diversi anni fa. Per la sua correttezza, oltre che per la sua bravura, questo Premio lo avrebbe sicuramente vinto, De Martis. Io quest’anno mi sto divertendo con un format tutto nuovo, una trasmissione che si chiama ‘Cuccioli e campioni’ che ho ideato insieme a Rete 8 Sport e alla Pescara Calcio dove c’è un confronto generazionale tra i giocatori della prima squadra che vengono settimanalmente ospiti e si confrontano con le nuove leve del calcio, dei ragazzi che sognano di diventare dei professionisti. C’è un confronto veramente molto divertente, costruttivo che si rinnova puntata per puntata. È una trasmissione che ci sta dando veramente soddisfazione perché piace e interessa varie categorie di tifosi e spettatori, ma anche coloro che non amavano il calcio prima, quindi sono molto contenta per questa trasmissione che sta per teminare perché segue di pari passo il campionato della serie B”.

Maurizio Stirpe: “Voglio ringraziare la giuria ed il Frosinone Calcio ed i miei collaboratori di questo importante riconoscimento perché ci rende orgogliosi di un percorso iniziato 15 anni fa e ci fa gonfiare il petto nel modo giusto soprattutto per il lavoro che abbiamo fatto in questi anni e penso che la società debba raccogliere anche riconoscimenti di questo genere. Noi abbiamo il nostro percorso, abbiamo una visione del calcio che magari può essere ingenua sotto certi aspetti, però siamo radicati a quella visione. Il calcio deve essere un momento di aggregazione, un momento in cui si cementa l’identità di un territorio, di una città e rappresenta un dovere del ceto dirigente. Io penso che abbiamo iniziato una strada virtuosa a Frosinone, se riusciamo a portare 15 mila persone allo stadio in una città di 47 mila abitanti significa che la direzione è quella giusta e significa soprattutto che la gente ha piacere di venire ad assistere allo spettacolo. Quindi noi ce la metteremo tutta per quello che potremo fare anche in futuro per cercare di non spezzare questa simbiosi di questo sogno che lega i tifosi alla squadra. Da questo punto di vista vedremo quello che ci riserverà il futuro, ma in ogni caso non verà mai meno l’impegno a cercare di realizzare questo progetto e portarlo avanti nel modo più dignitoso possibile. Lo stadio di proprietà? Noi tre anni fa avemmo la possibilità di fare ils alto di categoria e andare nel gota del calcio. Sapevamo benissimo che se ci fossimo salvati l’anno successivo non avremmo potuto usufruire della deroga, per cui insieme ai miei collaboratori e alla parte importante della tifoseria decidemmo di fare una scelta: di investire i soldi provenienti dai diritti televisivi nelle infrastrutture. Quindi abbiamo realizzato un centro sportivo, con quelle risorse abbiamo realizzato buona parte dello stadio che poi insieme al Comune siamo riusciti a completare. È stata secondo me una scelta azzeccata perché in questo modo penso che il Frosinone possa avere un futuro, nell’altro modo invece probabilmente sarebbe stato condannato negli anni successivi ad emigrare chissà dove, sarebbe stato impossibile l’anno successivo disputare il campionato di serie A. quindi fu una scelta sofferta sotto certi aspetti perché la prima cosa che uno vorrebbe fare è potenziare la squadra di calcio, noi abbiamo preferito seguire un’altra strada, una strada più difficile, ci vuole tanta comprensione, però secondo me oggi la città si ritrova un’opera che difficilmente avrebbe potuto realizzare in un altro modo”.

 

Paul Pett

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