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“Il giorno dell’omicidio di Paolo Borsellino, il magistrato aveva con sé la sua agendina rossa, l’aveva messa nella borsa. Dopo la bomba, quell’agenda è sparita: la borsa venne portata in Questura, dopo una serie di movimenti e passaggi, e nell’inventario della Polizia, l’agendina non c’era. Dov’è finita? La verità è che in quell’agendina è tracciato un sentiero di patti e ricatti sotterranei che continuano a tenere sotto scacco il nostro Paese perché, come diceva lo stesso Borsellino, Stato e Mafia sono due poteri e, se non si fanno la guerra sullo stesso territorio, lo devono co-governare”. Lo ha detto il giornalista e scrittore Giuseppe Lo Bianco, protagonista della seconda giornata della 22a edizione del Premio Nazionale ‘Paolo Borsellino’, svoltasi nella Sala Tinozzi della Provincia di Pescara, coordinata dalla Dirigente dell’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara Alessandra Di Pietro e incentrata sugli ultimi 56 giorni di vita di Paolo Borsellino. Presenti al Tavolo la professoressa Rosa De Fabritiis, referente del Progetto legalità all’Istituto ‘De Cecco’, Gemma Andreini, Presidente della Fidapa, il Presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e, oltre a Lo Bianco, la giornalista di Rai 3 Abruzzo Daniela Senepa. In platea presenti le classi quinte indirizzo Enogastronomia, sezioni C, L ed F, e la classe quarta Enogastronomia sezione B.

“Il nostro Progetto sulla legalità, nell’ambito del Premio Borsellino che stiamo ormai accompagnando da oltre un anno – ha ricordato la dirigente Di Pietro –, sta offrendo ai nostri studenti la possibilità di conoscere la testimonianza di persone, magistrati, giornalisti, scrittori, accomunati da una grande attenzione alla lotta contro la mafia e da un rigoroso impegno civile. Chi fa giornalismo d’inchiesta si assume una grande responsabilità, quella di raccontare storie troppo spesso dimenticate, di cercare la verità, ed è importante per noi tracciare un quadro storico preciso dei primi anni ’90, una storia che i nostri ragazzi non conoscono perché nell’epoca dello stragismo non erano neanche nati. E parlarne è importante perché compito della scuola è anche quello di recuperare e manutenere la memoria storica che è l’identità del nostro Paese”. “L’Istituto Alberghiero – ha aggiunto la professoressa De Fabritiis – ha iniziato lo scorso anno, alternando i grandi eventi di incontro con le attività laboratoriali che hanno permesso ai ragazzi di confrontarsi con quella realtà sociale dell’Italia di 25 anni fa”. E sul tema della memoria storica ha insistito anche la Presidente della Fidapa Gemma Andreini, Presidente della Commissione regionale Pari Opportunità, la quale ha ricordato come “sia importante che sulla lotta e il contrasto alla mafia i riflettori siano accesi tutto l’anno, non solo in occasione delle ricorrenze”. Quindi la parola a Giuseppe Lo Bianco, cronista di giudiziaria da 27 anni, autore di alcuni saggi sul rapporto tra mafia e politica, tra cui ‘L’Agenda Rossa di Borsellino’ nel 2007, ‘Profondo nero’ nel 2008, e ‘L’Agenda nera della Seconda Repubblica’ nel 2010, tutti pubblicati da Chiarelettere. Ha lavorato al ‘Diario’, al Giornale di Sicilia, e al giornale ‘L’Ora’ di Palermo, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Dopo la chiusura de ‘L’Ora’, è stato assunto all’ANSA di Palermo dove ha lavorato come capo servizio aggiunto fino a dicembre del 2009. Ha collaborato inoltre con L’Espresso e con Micromega, e oggi scrive per il Fatto Quotidiano. “Il volume ‘l’Agenda rossa di Paolo Borsellino’ – ha detto la dirigente Di Pietro presentando Lo Bianco – affronta il tema della trattativa Stato-Mafia, ovvero l’ipotesi di negoziazione e accordo che si ritenne fu fatto tra lo Stato italiano e alcuni esponenti e boss della mafia, un accordo per evitare che proseguisse la strategia delle stragi dei primi anni ’90 e lo Stato, dal canto suo, avrebbe rinunciato agli aspetti più duri del 41 bis, ossia il carcere duro”. “Gli ultimi 56 giorni di vita di Paolo Borsellino – ha detto Giuseppe Lo Bianco – sono la cronaca di un martirio istituzionale, se la Chiesa avesse preso in considerazione la vicenda di Borsellino, uomo di profonda fede, oggi Borsellino sarebbe un ‘martire della legalità’, un uomo che, all’indomani dell’assassinio di Giovanni Falcone, sapeva che subito dopo sarebbe toccato a lui perché conosceva tutte le indagini e tale consapevolezza lo ha accompagnato negli ultimi 56 giorni, tutti appuntati nell’Agenda rossa. Si trattava di una normale agenda regalatagli nel Natale precedente dall’Arma dei Carabinieri e che lui non aveva neanche aperto. Dopo la strage di Capaci, Borsellino comincia ad annotare frasi, riflessioni, pensieri e appunti investigativi che dovevano restare lì, segreti, appunti anche pesanti su uomini che ricoprivano ruoli istituzionali. L’Agenda rossa era il luogo in cui Borsellino aveva deciso di custodire le riflessioni più intime, più importanti, quella che Travaglio ha definito ‘La Scatola Nera della seconda Repubblica’, e questo perché accanto alle riflessioni investigative c’erano quelle di carattere istituzionale, perché l’Italia era entrata nella fase di passaggio dalla prima alla seconda Repubblica a suon di bombe. A inizio maggio era stato ucciso un europarlamentare; il 23 maggio 600 chili di tritolo avevano ucciso Falcone a Capaci e Borsellino, che era procuratore aggiunto a Palermo, sapeva che il prossimo sarebbe stato lui che si era trovato catapultato in un gioco istituzionale ben prima del botto di Capaci. Era stato votato da 45 parlamentari del Movimento Sociale al Quirinale come successore a Cossiga. Nel volume raccontiamo i momenti che hanno segnato gli ultimi 56 giorni, quando a sua insaputa Borsellino fu candidato alla Procura Nazionale Antimafia senza essere avvisato, e la sua vicenda si intreccia con la trattativa Stato-Mafia emersa solo 15 anni dopo. Nel libro racconto la cronaca del suo martirio: Borsellino aveva capito cosa stava accadendo in Italia, la sera del 25 giugno del’92 partecipa a un incontro organizzato in Biblioteca da Micromega e fa un discorso-testamento, e dice ‘Io so alcune cose, non le posso dire qua perché sono un magistrato, prima le dirò all’Autorità Giudiziaria e poi le renderò pubbliche’, ebbene l’Autorità Giudiziaria non lo ha mai ascoltato. E poi la vicenda umana che si intreccia a quella del magistrato: il 19 luglio chiama un parroco in ufficio per farsi confessare; la sera del 18 luglio, lasciando l’ufficio, saluta con un bacio sulla guancia i 3 colleghi che erano con lui prima di andare a casa e fa lo stesso col portinaio, cose mai fatte prima. La sensazione del martirio è dettata dalla consapevolezza di dover fare una fine segnata. Eppure fino a mezz’ora prima di morire – ha aggiunto Lo Bianco – Borsellino aveva fissato gli appuntamenti per interrogare un pentito in Germania perché era determinato ad andare avanti. Borsellino ha sempre avuto il senso dello Stato in primo piano, per lui e Falcone il ‘senso dello Stato’ era il rispetto della Legge. La lezione di legalità di Borsellino, sempre attuale, è quella che ci invita a selezionare la nostra classe politica dirigente, a considerare non-votabili persone che, seppure non ancora condannate, comunque sono rinviate a giudizio”. Rispondendo poi alle domande degli studenti, con la giornalista Senepa, Lo Bianco ha smentito che “Borsellino avesse mai chiesto di istituire una zona rimozione tutt’attorno a via D’Amelio per paura di un attentato. Vero è che il Prefetto avrebbe potuto assumere da solo tale iniziativa per ragioni di sicurezza, e infatti quel prefetto è stato cacciato dal Ministro Martelli il giorno dopo la strage che ha ucciso Borsellino e qualche anno fa l’ho ritrovato a cantare in una trasmissione di Paolo Limiti”. “Più volte mi sono chiesto come fosse possibile che, dopo la morte di Falcone, ad appena due mesi si fosse arrivati anche all’omicidio di Borsellino, come se l’Italia si fosse presa una lunga vacanza – ha detto il Presidente Di Marco -. È opportuno pensare allora a un disegno costruito. Fare un’analisi del periodo storico non è facile, ma chiaramente le Istituzioni erano rilassate, se non distratte e questo non è accettabile. E oggi è importante tenere la guardia alta, perché è sbagliato pensare che vada tutto bene solo perché non vediamo autobombe saltare in aria, piuttosto dobbiamo capire quale sia la strategia moderna dei ‘professionisti del male’”.