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Nella consueta cornice del Teatro Marrucino di Chieti, in mattinata si è svolta la cerimonia di premiazione del Premio Nazionale “Giuseppe Prisco” alla lealtà, alla correttezza e alla simpatia sportiva, giunto alla sua XV edizione, condotta, per il terzo lustro consecutivo, dal giornalista Stanislao Liberatore, che ha anche un ruolo fondante nell’organizzazione dell’evento rivelandosi una colonna portante del Premio.

“Nella nostra città spesso inseriamo tanti eventi poiché la caratterizzino – ha sottolineato il sindaco di Chieti, Umberto Di Primio – credo che abbia ragione chi la organizza ormai da diversi anni, il Premio Prisco è tra quelle cose che possono inorgoglire un’intera città, un’intera comunità e quindi possono diventare anche il simbolo della città. Io credo che si possa fare in modo che il Premio Prisco possa diventare il patrimonio non solo di chi ogni anno lo onora con la propria presenza, ma di tutti. Queste sono le cose di cui ha bisogno una città: portare degli esempi positivi che sono quelli che si propongono con i premiati, ma anche quelli che ne godono nelle giornate come questa. Sono ormai un qualcosa di rarissimo di cui le comunità hanno bisogno e non possiamo che ringraziare gli organizzatori che vogliono condividerle con noi”.

Il Premio è stato assegnato a Simone Inzaghi (allenatore Lazio), al giornalista di RadioRai Riccardo Maria Cucchi (Premio Speciale di Giornalismo “Nando Martellini”, quest’anno alla sua XII edizione). Inoltre la giuria, d’intesa con il presidente del Comitato organizzatore Marcello Zaccagnini, ha deciso di attribuire il “Premio Speciale della Giuria” ad Arrigo Sacchi. Assenti gli altri due vincitori delle rispettive categorie Antonio Percassi (presidente Atalanta) e Andrea Belotti (attaccante Torino).

“Peppino Prisco ha dato molto al calcio – ha ricordato Riccardo Cucchi – soprattutto una cosa ritengo che oggi sarebbe molto necessaria: l’ironia. Prisco era un grande tifoso, un appassionato, attraeva un sacco di gente, attraverso le sue battute era possibile amare di più il calcio e anche rispettare di più l’avversario perché Prisco era tagliente con le sue battute, ma sempre nel rispetto dell’avversario. Oggi purtroppo assistiamo ad un calcio che viene preso in modo diverso in cui manca proprio l’aspetto dell’ironiam, spero che qualcuno riesca a ripescarla con le sue capacità necessarie. Con le radiocronache mi rimane una bellissima esperienza di passione, questo è quello che mi sento di dire, la passione che ho cercato di mettere raccontando le partite, passione che spero di aver suscitato attraverso il ‘goal’ al di la del risultato. Io credo che il nostro mestiere abbia questo di bello: riesce a trasmettere le emozioni, essere capaci di emozionarsi su un campo da gioco e poter trasmettere le emozioni. I segnali che ho avuto a fine lavoro ed i messaggi che mi sono arrivati dicono questo: la gente con la quale in questi 38 anni ho avuto i dialoghi attraverso il microfono credo che ricordi soprattutto il grande entusiasmo con il quale sono riuscito a raccontare, credo, ill gioco più bello del mondo che è il calcio. Questo campionato? Non ho mai avuto dubbi che la Juventus vincesse con merito questo campionato. La Juve sta scrivendo una pagina di storia incredibile di cui noi oggi non ci rendiamo ancora perfettamente conto: vincere sei campionato consecutivi è veramente un qualcosa di incredibile. La Juventus oggi ha scritto una leggenda che rimarrà a lungo negli annali del calcio. Credo che abbia rallentato inevitabilmente perché era impegnata su più fronti, oltre al Campionato e alla Coppa Italia c’è la Champions League, ha dovuto calibrare le proprie forze, forte anche del vantaggio sugli avversari è riuscita a gestire molto bene fino all’ultima giornata. Devo dare onore anche a Napoli e Roma che sono avversarie di grande qualità che hanno cercato di tenere il passo della Juventus, chissà che il prossimo anno non crescano ancora, potrebbe essere molto interessante assistere al prossimo campionato, ma penso che la Juventus abbia dimostrato di essere la più forte d’Italia e anche la più forte d’Europa”.

“Sicuramente i miei ragazzi hanno fatto una grande stagione – ha detto Simone Inzaghi – abbiamo fatto un qualcosa di straordinario perché abbiamo centrato l’Europa League, abbiamo centrato l’Europa con tre giornate di anticipo, abbiamo ottenuto la finale di Coppa Italia, sapevamo di aver fatto qualcosa di unico e dopo la partita di Crotone pianificheremo nel migliore dei modi la prossima stagione. Questo sicuramente è un Premio che sono contento di ricevere, voglio dividerlo con il mio staff che lavora con me tutti i giorni, con i miei fantastici giocatori, con la società che mi ha dato l’opportunità e con i tifosi della Lazio che quest’anno sono stati sempre al nostro fianco e ci hanno trascinato in questa stagione splendida. Anche mio fratello Filippo è stato bravissimo a vincere il campionato a Venezia, non era semplice, ha fatto un qualcosa di straordinario, è riuscito a vincere il campionato e la Coppa Italia e adesso speriamo che riesca a vincere anche la Supercoppa, ma è stato bravissimo ed è giusto che si prenda queste soddisfazioni”.

La giuria che ha decretato i vincitori del Premio è presieduta da Sergio Zavoli e composta da Italo Cucci, Gianni Mura, Gian Paolo Ormezzano, Marco Civoli, Franco Zappacosta, Ilaria D’Amico e coordinata dall’imprenditore Marcello Zaccagnini, presidente del Comitato organizzatore.

“Da piccolo Peppino Prisco lo ascoltavo e mi piaceva la sua voce, la sua intelligenza – ha affermato Arrigo Sacchi – io ho amato il calcio, l’ho fatto con grande passione e ho dato tutto me stesso. Ho impiegato una vita a migliorarmi e per migliorare gli altri, però ad un certo momento chiedevo ai giocatori che dessero la vita calcisticamente parlando che vuol dire essre degli eroi. Quando una persona fa tutto quello che può è un eroe. Chiedevo questo, io ero il primo, non potevo dire ‘armiamoci e partite’. Questa ossessione che avevo mi ricorda una frase di Pavese, ‘non c’è arte senza ossessione’, e io dicevo ai giocatori che non sono sicuro che ci sia arte, ma l’ossessione ce l’ho, quindi mi impegnavo molto. Purtroppo avevo anche un’idea che era un po’ diversa rispetto a quella che era la nostra storia nonostante la tradizione. Io pensavo che giocare all’attacco aiutasse a sviluppare la fantasia, a far crescere l’autostima, avere il dominio del gioco del pallone pensavo che permettesse ai giocatori di crescere. Questo perché mi ricordo che quando ero bambino mio padre mi regalò un pallone, ce n’erano pochissimi, giocavo e mi divertivo con i miei compagni. Un giorno arrivarono dei ragazzi più grandi, volevano giocare per forza ed il pallone lo avevano sempre loro ed io non mi divertivo, quindi presi il pallone e lo portai via. Ho pensato che nel calcio la bellezza ed il divertimento fossero dei valori e mi sono impegnato al massimo in un Paese dove la maggior parte delle persone dicevano che basta vincere. Pochi sanno che il calcio che va supportato dalla bellezza del gioco, anzi ne ha fatto un valore. Se la vittoria è importante quanto l’aiuta e l’amplifica la bellezza del giocco? Marco Civoli ha detto che ho vinto poco, è tutto relativo perché per me ho vinto anche troppo. La vittoria per me era importante, ma senza merito, senza essere superiore all’avversario non era una vittoria. Questo Premio lo devo condividere con tutte le società con cui ho lavorato perché una persona non può fare nulla: io ho sempre pensato che il club viene prima della squadra e la squadra viene prima del singolo. Avevo poche idee e chiare, credo almeno. Quindi che cos’è il successo? È non avere nessun rimpianto ed io non ho nessun rimpianto. Quando me ne sono andato era perché non potevo dare più la vita agli altri. Quando sono andato al Milan ho firmato per un anno in bianco, ero un perfetto sconosciuto ed ho detto ‘o sono dei geni o sono dei pazzi’. Ho giocato poco e per fortuna nessuno mi ha visto. Quando qualcuno mi chiedeva come facessi ad insegnare ai campioni se non ero mai stato un campione, rispondevo che non sapevo che per essere un fantino bisognava essere stato un cavallo prima. Devo dire grazie a tante persone, anche a quelle che ho scomodato perché è ovvio che vedeno il calcio in un modo diverso ho dato fastidio. Ho avuto tante soddisfazioni grandissime: tempo fa l’Uefa ha menzionato 10 persone che per loro hanno contribuito a migliorare il calcio dal 1950 ai giorni nostri e mi hanno inserito tra queste 10 persone. Per me è stato un motivo di grande orgoglio essendo stato l’unico italiano in una congrega di persone che dicono che siamo un popolo antico che ama l’antichità e sono fra gli innovatori ed io ho detto che in un mondo di ciechi avere un occhio è un vantaggio”.

Paul Pett

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