La scorsa il comico Pino Campagna si è esibito al Supercinema di Chieti nello spettacolo “Si è rotta la play station” organizzato dall’Agenzia Solidea. Con l’acquisto del biglietto, si è contribuito nel sostenere la Sezione Provinciale Aism di Chieti.
Nell’occasione l’artista pugliese ci ha gentilmente concesso un’intervista.
- Pino Campagna, a Chieti con “Si è rotta la play station”, di che cosa si tratta?
- “Lo spettacolo è mio e di Marco Del Ponte, con alcuni stralci di Paolo Crepet che è un famoso sociologo, dai suoi libri ho preso degli spunti molto interessanti e le ho trasferite in cose abbastanza carine. Quindi è molto sul sociale, sula decomunicazione, sul non comunicare più, si comunica solo attraverso i media, i social network e tutte quelle cose che sono le dinamiche multimediali che stanno diventando delle cose ovoidali. Quindi lo spettacolo tratta di un aspetto molto giovanile, di tutte quelle che sono le sfaccettature dei giovani come la play station, l’iphone, il computer e tutto quello che può essere dedicato ai ragazzi con la visione dei genitori che si devono adeguare a questo mondo multimediale dei ragazzi. Ho cominciato a Zelig nel 2003 ed avevo già iniziato ad interessarmi di decomunicazione, di non comunicare, di questo mondo particolareggiato di esprimersi attraverso gli abbreviativi, troncare le parole, questo modo di parlare inglese con il nostro bellissimo italiano, i figli che slogheggiano verso i padri, poi questo aspetto particolare dello stadio inserito nelle famiglie. Dico sempre che casa mia sembra San Siro perché tutti hanno uno slogan per risponderti”.
- Con questa serata si aiuta in qualche modo chi è affetto da sclerosi multipla, si adopera spesso per iniziative benefiche?
- “Io ho sposato la causa, ho fatto parecchie cose anche per la sclerosi multipla, anche in altre faccende per quanto riguarda la ricerca sul cancro. Però dal 2003 il personaggio di Papy aveva questa sciarpa che ancora oggi è in scena col Papy Ultras. Io ho sposato questa causa sin da quando ho avuto il successo a Zelig, ma anche da prima, però da allora la cosa si è un po’ amplificata. Vendevo le sciarpe per beneficenza in tutte le mie tournèe, l’ho fatto per diversi anni e tutti gli introiti di queste vendite sono andati al Comitato Maria Letizia Verga di Monza per la cura e la ricerca della leucemia infantile. Questo perché ho avuto in famiglia un piccolo dramma che si è contrapposto alla cosa bella di Zelig con mio figlio Marco che ha 34 anni ed ora sta benissimo ed è tutto passato ringraziando il cielo. Lui è stato affetto da questa cosa, quindi io in primis sono stato tirato in causa. Ho toccato con mano la sofferenza, il cigolio delle macchine della chemio, questa cosa mi è rimasta dopo tanti anni. Questa cosa potrebbe impallidire un film horror di Dario Argento, è una cosa che mi ha segnato nella vita ed ho capito da vicino che cosa può essere la sofferenza proiettandola nella sclerosi multipla. Ho conosciuto molto da vicino il pugno della sofferenza. Ho pensato di continuare questo mio messaggio e di accettare questa serata in favore della sclerosi multipla”.
- Negli ultimi tempi è stato “avvistato” spesso in Abruzzo, qual è il suo rapporto con la nostra regione?
- “Con il termine ‘avvistato’ mi si dà un po’ la connotazione di un ufo. Diciamo che non riesco a trovare le parole per dire di quanto l’Abruzzo sia una regione bella, fantastica, ospitale. Si dice che gli abruzzesi siano testa dura e invece hanno le mani molto facili per applaudire, quindi sono molto contento di aver scoperto in questi anni la bellezza dell’Abruzzo”.
- Ha avviato la sua carriera come cantante folk negli anni ’80 con dei successi discografici. Cosa ricorda dei sui inizi?
- “Nei primi anni della mia carriera mi dedicavo più che alla musica folk al folklore pugliese e molisano, le canzoni di Matteo Salvatore che è un grande cantante poeta contadino del Gargano, io cantavo sempre le sue canzoni. Lui è un grandissimo che si è fatto conoscere anche nei Paesi dell’Est come Russia e Polonia. Ha portato la voce del Gargano in giro, la meridionalità attraverso una chitarra. Era un poeta contadino che cantava la miseria, lo sfruttamento dei padroni. Questa cosa non l’abbiamo scoperta oggi o nel ’68 con i sessantottini ma c’è stata sempre, anche con i neri nelle piantagioni di cotone, quindi è un corso e ricorso storico. Io ho iniziato a cantare queste canzoni folk in Puglia, mi divertivo tanto con la chitarra, mi veniva così, prendevo la chitarra e mi venivano delle cose carine. Poi ho un po’ lasciato anche se mi sono portato sempre la chitarra con il cabaret. Poi negli anni ’80 ho frequentato l’Arfellini dove sono nati degli artisti come Dario Vergassola, Giacomo Poretti di Aldo, Giovanni e Giacomo e tanti altri. Sono passati in tanti dall’Arfellini dove si aveva tanto poco ma si era molto ricchi di spirito”.
- Poi c’è stato il passaggio al cabaret e alla tv ed il coronamento con Zelig Circus. Quale esperienza l’ha formata di più?
- “Io ho debuttato nell’85 con la Corrida di Corrado, poi ho fatto un excursus nell’86 dove mi sono avvicinato alla Rai, ho fatto qualche puntata a Doc, nel ’90 c’è stato il io più grande appuntamento con Gran Premio, trasmissione di Pippo Baudo dove tutte le regioni d’Italia si sfidavano nelle varie discipline. Quindi la De Filippi non si è inventata niente, è una grandissima giornalista che io stimo tantissimo, una grande presentatrice, però l’idea è di Pippo Baudo”.
- Com’è nato il personaggio “Papy ultras”?
- “È nato quasi per caso, ero a Zelig tra il 2001 ed il 2002, mi esibivo con una kermesse teatrale, avevo questo personaggio particolare del Papy Ultras che rispondeva agli slogan del figlio ed è stato così esilarante che i grandissimi Gino, Michele e Giancarlo Bozzo mi hanno dato la possibilità di diventare Pino Campagna, quindi bisogna dare il pane al pane o a Cesare ciò che è di Cesare. I tre grandi pionieri di Zelig hanno visto il personaggio del Papy che era molto divertente, esilarante e mi hanno dato la possibilità di arrivare a degli autori bravi come Ursi e Belloni che hanno scritto pezzi anche per altri come Vernia ed Ale & Franz. Stiamo parlando degli anni fulgidi di Zelig, brillanti, dove eravamo una stella che brillava nel cielo. Io non ho parole, credo che il Drive in abbia lasciato il testimone, un po’ come in una staffetta, a Zelig che se l’è portato per diverso tempo. Peccato che negli ultimi anni questa trasmissione ha messo un po’ da parte quelli che hanno fatto la trasmissione, noi della vecchia guardia. O si sono dimenticati di noi, o sono un po’ distratti perché gli autori hanno voluto dare un po’ di linfa attraverso tanti giovani. Oggi bisogna dare spazio a tutti, però c’è tanta fretta di diventare famosi e poca pazienza per diventare talenti. Io uso questa frase di Paolo Crepet per dire che questo lavoro devi amarlo, non è che ti alzi la mattina e fai il comico, devi mangiare il pane duro, quintali di sale. Poi vedo delle persone sul palco in delle trasmissionacce ed ho dovuto prendere tre volte il malox perché erano inguardabili, non hanno una vis comica, si salverà qualcuno, , ma c’è da portare tutti nei campi ad aiutare gli extracomunitari perché questo è un lavoro serio, è un lavoro che si ama”.
- Per concludere, di recente ha avuto anche un’esperienza cinematografica. Che tipo di esperienza è stata e che differenze ha trovato rispetto alla tv?
- “Questa cosa cinematografica era in porto, si è arenata, era una grande idea e lo è ancora, mi sono passate davanti due o tre occasioni cinematografiche ma mi hanno sempre ciullato il posto, hanno dato sempre la parte ad un altro. Allora ho detto basta, ho scritto io un film con degli autori per portare la luce delle mie ormai 60 primavere che si completano con un film, solo che non ci sono soldi e devo trovare qualche produttore che sotto minaccia di un kalashnikov qualche soldo me lo dà”.
Paul Pett