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Il Museo Fondazione Paparella ospita da oggi, martedì 8 dicembre, fino al prossimo 15 maggio una mostra di 61 schizzi e 33 sculture del grande artista scultore abruzzese Costantino Barbella dal titolo “Dall’idea alla forma Costantino Barbella: 61 schizzi e 33 sculture”.
La mostra suscita interesse perché riporta finalmente all’attenzione del pubblico, in modo esaustivo, il genio abruzzese che, a cavallo tra 1800 e 1900, fu considerato uno dei massimi scultori dell’epoca a livello internazionale, tanto che le sue opere furono acquisite dalle più importanti personalità e dai più prestigiosi musei al mondo: l’Hermitage di San Pietroburgo, il Louvre di Parigi, il Reina Sofia di Madrid, la Galleria d’arte Moderna di Roma, il Museo di Capodimonte e molti altri. Quel che sorprende di Barbella è il fatto che, nonostante il grande successo riscosso in vita, dopo la sua morte sono state, al contrario, scarsissime le celebrazioni in suo onore, da contarsi sulle dita di una mano: è anche per questo che il Cda della Fondazione ha scelto di organizzare questo evento.
“Ci vogliamo congratulare con la Fondazione che insieme al Comune, nonostante il momento difficile, riesce ad organizzare eventi così importanti – ha affermato il consigliere comunale di Pescara, Marco Presutti – mi pare interessante l’accostamento tra i bozzetti e le opere. Questo tipo di bozzetti rappresentano la sintesi di quel Cenacolo, la Serao lo ricordava come uno dei luoghi più importanti del nostro Paese in cui c’era un momento empirico che veniva portato nell’arte. Il mio auspicio è che superando le difficoltà si possa valorizzare quello che fino a questo momento è stato fatto. Questo è un regalo per la città che dobbiamo continuare a portare avanti con l’aiuto di tutti”.
Nell’arco della sua evoluzione artistica Barbella ha attraversato tre periodi fondamentali: quello iniziale, caratterizzato dalle frequentazioni del Cenacolo Michettiano, ispirato al folclore e alle tradizioni abruzzesi; il periodo della ritrattistica, in cui ha eseguito i ritratti di personaggi famosi dell’epoca, come l’amico Pietro Mascagni, i principi Popovich di Montenegro, e naturalmente i famigliari, come quelli della moglie Antonietta e del figlio Bruno esposti in mostra. Infine il periodo Liberty, respirato a Parigi alla fine dell’Ottocento, e da Barbella anticipato all’inizio del secolo nuovo, prima che esplodesse anche in Italia.
Proprio in riferimento al Cenacolo Michettiano, è importante ricordare che Barbella, con D’Annunzio, Michetti, Tosti ed altri, ne è stato uno dei principali animatori; storia, quella del Cenacolo, a tutt’oggi orgoglio e vanto dell’Abruzzo, stagione prodigiosa di arte e letteratura. Tanto fu produttiva quella esperienza che il noto giornalista dell’epoca Luigi Arnaldo Vassallo, detto Gandolin, scrisse sul giornale satirico-letterario romano “Capitan Fracassa”: “[…] Si, vennero dunque dall’Abruzzo, a rinvigorire la cultura e le arti, un Michetti, un Barbella, un D’Annunzio ed un Tosti, ma andò a finire che non si dipingeva più: si michettava. Le statue si barellavano e si dannunziava la lirica. E in fatto di musica, si tostava dalla mattina alla sera”.
La mostra allestita nel Museo Fondazione Paparella fa in modo che si volga la connessione tra l’idea dell’artista (schizzi) e la forma (sculture). Infatti, è proprio con l’osservazione degli schizzi, che riusciamo a penetrare l’idea originaria dell’atto creativo delle incantevoli opere scultoree di Costantino Barbella.
“Pescara è la città di D’Annunzio – ha detto Vittorio Sgarbi – quindi mi sembra importante aver trapiantato un amico di D’Annunzio, tra quelli più fedeli e amati da Chieti, dove c’è un Museo dedicato a suo nome, che è Costantino Barbella, a Pescara che bene o male è un luogo dove si respira una dimensione che è meno locale e forse più aperta perché l’ambizione sin dall’inizio sia di Michetti che di Barbella non era quella di essere locale, abruzzese, ma di essere universale. Quindi si dimostra lo spirito verso una dimensione universale ed europea. Dei tre (D’Ennunzio per la letteratura, Michetti per la pittura e Barbella per la scultura) Barbella forse oggi è il meno conosciuto, il meno considerato, è anche quello che è rimasto più fedele al primo tempo di D’Annunzio e al primo tempo della pittura e della letteratura realistica, a questa dimensione del bozzetto e del suo colore. Però Barbella l’ho sempre considerato come uno scultore che aveva una straordinaria attenzione per la sensibilità delle cose che passano dentro lo spirito degli uomini. Lo vedevo più come un componente di Gozano che di D’Annunzio, con una tendenza crepuscolare. Probabilmente le sue opere che ho visto son legate a contadini ma visti come espressione di felicità, arcadia, come se la natura e la campagna non fossero luoghi di fatica e di sforzo ma luoghi in cui si ritrova una dimensione di paradiso terrestre. Ho visto in Barbella oltre al gusto bozzettistico per i soggetti di genere anche qualcosa che si innalza ad una dimensione metafisica dove si avverte che lui non è uno scultore localistico, regionalistico, ma ogni tanto ha un colpo d’ala che ci impone di guardare le cose come si guardano le opere di Degano e di alcuni artisti che hanno superato la soglia del localismo e del bozzettismo. Quindi è un autore sul quale era importante fare una riflessione oggi con alcune delle sue sculture minori, almeno sotto l’aspetto della dimensione, anche con l’attenzione a quello che ha proposto in vari contesti. C’è un’ombra nella vita di Barbella ma c’è anche una luce, che è uno dei momenti in cui si ha consapevolezza del suo aspetto bozzettistico. È una dimensione che riguarda un uomo che vanta una grande raccolta di ceramiche. È un personaggio che continua a vivere con l’intelligenza di andare a vedere quello che l’Abruzzo ha fatto, i punti più alti che può avere raggiunto. Mi pare una bella iniziativa, del resto è anche utile per riflettere sull’attività di Barbella. È uno scultore sottovalutato ed oggi si può capire la sua grandezza e misura che tocca talvolta la soglia dell’arte vera. In tanti casi è un’arte vissuta in un momento in cui i grandi temi erano esauriti”.
Paul Pett